“Arrestati dalla procura di Catania i due scafisti dell’imbarcazione affondata ieri. Contro gli schiavisti #senzatregua“, secco il tweet del ministro dell’Interno Angelino Alfano che nella notte ha dato l’annuncio del fermo dei ricercati. In una dichiarazione odierna, come riportato dall’Ansa, ha poi spiegato: “Fermati i due scafisti dell’imbarcazione affondata. Si tratta del comandante, tunisino, e di un suo assistente, siriano. È arrivata nel porto di Catania la nave della Capitaneria con a bordo i superstiti del naufragio al largo della Libia. Sulla nave, la Polizia ha svolto interrogatori e confronti che hanno consentito alla Procura della Repubblica di Catania di individuare e disporre il fermo dei due“.
Dal racconto dei migranti sopravvissuti all’ecatombe avvenuta due giorni fa nel canale di Sicilia emergono sempre più dettagli su quanto accaduto. I superstiti raccontano che lo scafista, cercando probabilmente di nascondersi, avrebbe erroneamente portato il barcone in collisione con una nave mercantile portoghese, la King Jacobs che era arrivata nelle vicinanze per prestare soccorso. “Voleva guidare la barca – hanno raccontato i testimoni – e allo stesso tempo nascondersi tra di noi“. Una versione confermata anche dai pm di Catania secondo i quali il naufragio sarebbe dovuto a due cause: lo spostamento dei migranti sull’imbarcazione, che era sovraffollata, e l’errata manovra dello scafista che l’ha portata a collidere con il mercantile King Jacobs.
I due sono già in carcere accusati di omicidio colposo plurimo, naufragio e favoreggiamento d’immigrazione clandestina. Alla loro identificazione si è giunti grazie alle testimonianze degli altri 26 sopravvissuti che hanno reso dichiarazioni agli investigatori del Servizio centrale operativo di Roma e della squadra mobile di Catania. Nei prossimi giorni saranno interrogati dal Gip che dovrà decidere sulla convalida del provvedimento restrittivo e sulla contemporanea emissione di un’ordinanza di custodia cautelare.
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Le forze dell’ordine hanno individuato anche i due uomini che gestiscono il traffico di essere umani dall’Africa alle coste siciliane. Si tratta di Ermias Ghermay, eritreo e Asghedom Ghermay, etiope. L’eritreo vive e opera in Libia ed è ricercato dalle polizie di mezzo mondo, l’altro, fermato a Civitavecchia mentre tentava la fuga verso la Germania, è ora in un carcere italiano.
Ermias, secondo le intercettazioni dalla polizia che ha scoperto la rete di trafficanti di cui fa parte, ha un modus operandi preciso e metodico: ad ogni migrante dà un numero, una sorta di codice che comunica ai cassieri dell’organizzazione per tenere la contabilità dei pagamenti versati per ogni fase del viaggio. Sotto di sé ha decine di persone. Tiene i contatti con l’Italia attraverso Asghedom. Asghedom Ghermay, approdato in Italia dall’Etiopia, arrivò come migrante al Centro di accoglienza di Mineo, vicino a Catania, e fece richiesta di asilo politico. Gli rilasciarono un permesso di soggiorno valido fino al maggio 2019. Permesso che ha sfruttato cambiando ruolo: da sfruttato a sfruttatore della disperazione, diventando un trafficante di profughi.
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