
Pupi Avati e il suo affascinante viaggio nel gotico romantico di L'orto americano
Pupi Avati, uno dei registi più rispettati del panorama cinematografico italiano, torna alla ribalta con il suo 55° film, “L’orto americano”. Presentato con successo all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, questo progetto cinematografico è approdato nelle sale italiane il 6 marzo 2023, grazie alla distribuzione di 01 Distribution. Avati, noto per la sua capacità di mescolare il genere horror con elementi di dramma e commedia, offre con questo film una riflessione profonda e intensa sulla vita, l’amore e il mistero, incastonata in un’atmosfera gotica e nostalgica.
In un’intervista, Avati ha condiviso il suo pensiero sulla scelta del bianco e nero per “L’orto americano”, attribuendo questa decisione a suo fratello Antonio. Parlando del suo film, il regista ha dichiarato: “Aver fatto questo film in bianco e nero lo devo a mio fratello Antonio, vale a dire cinema con la C maiuscola con riferimenti ad Alfred Hitchcock, ma anche al neorealismo italiano di Rossellini e De Sica“. Questa affermazione mette in luce la sua intenzione di rendere omaggio a due grandi correnti del cinema, utilizzando una tecnica visiva che amplifica le emozioni e l’atmosfera del racconto.
La trama di “L’orto americano”
“L’orto americano” si svolge nell’immediato dopoguerra a Bologna, un periodo di grande tumulto e trasformazione per l’Italia. La storia segue un giovane aspirante scrittore, interpretato da Filippo Scotti, che si trova a dover affrontare la precarietà della propria esistenza e la ricerca di una voce artistica in un mondo segnato dalla guerra. I suoi cinque romanzi, ancora inediti, simboleggiano la sua lotta interiore e la sua ambizione, ma è l’incontro con Barbara, una bellissima infermiera dell’esercito americano, a scatenare in lui una passione travolgente.
La figura di Barbara, interpretata da un’attrice di grande talento, rappresenta non solo un amore idealizzato ma anche un legame con un’epoca e una cultura che si stanno rapidamente evolvendo. Dopo un anno di lontananza, il protagonista decide di seguire il suo cuore e si reca nel Midwest americano, dove il destino lo porta a vivere accanto alla casa della sua amata, separato solo da un orto. Questo spazio, che inizialmente può sembrare un semplice elemento scenico, diventa in realtà il fulcro della narrazione, un simbolo di connessione e separazione al tempo stesso.
Un mistero inquietante
In questa nuova vita, Filippo si imbatte in un mistero inquietante: nell’orto scopre, all’interno di un contenitore di vetro, dei resti umani femminili. Questo inquietante ritrovamento lo conduce a un’avventura oscura e inquietante, che rivela le ombre del passato e la presenza di un possibile serial killer. La tensione cresce mentre Filippo si immerge in una ricerca che lo porterà a confrontarsi con i propri demoni e con la realtà di un mondo in cui il male può nascondersi anche nei luoghi più familiari.
Avati, con la sua sensibilità artistica, riesce a intrecciare la storia d’amore tra Filippo e Barbara con elementi di horror psicologico, un approccio che ricorda i grandi maestri del genere come Dario Argento e Mario Bava. Tuttavia, il regista è consapevole che oggi il panorama cinematografico è cambiato: “Oggi non è più così, Sorrentino fa i film ‘alla Sorrentino’ e Amelio fa la stessa cosa, i ‘film all’Amelio’, non si fa più il ‘genere'”. Con questa dichiarazione, Avati sembra voler sottolineare l’importanza di mantenere viva l’eredità del cinema di genere, un patrimonio che ha reso grande il cinema italiano nel mondo.
Un viaggio emozionale
“L’orto americano” non è solo un film, ma un viaggio attraverso le emozioni e le esperienze di un’epoca. La Bologna del dopoguerra, con le sue contraddizioni e il suo spirito di resilienza, fa da sfondo a una storia che affronta temi universali come la perdita, l’amore e la ricerca della verità. La direzione artistica, i costumi e la fotografia in bianco e nero contribuiscono a creare un’atmosfera densa di significato, trasportando gli spettatori in un’epoca lontana ma sorprendentemente attuale.
La performance di Filippo Scotti è al centro della narrazione, e il suo personaggio evolve da giovane sognatore a uomo costretto a confrontarsi con la brutalità della realtà. La madre anziana, interpretata da Rita Tushingham, aggiunge una dimensione ulteriore al racconto, rappresentando il dolore e la nostalgia di chi ha perso una parte della propria vita a causa della guerra. La sua disperazione e la ricerca della figlia scomparsa si intrecciano con la storia di Filippo, creando un tessuto narrativo ricco e complesso.
In questo modo, Pupi Avati riesce a creare un’opera che è sia un tributo al passato che una riflessione profonda sui temi eterni dell’amore e della morte, rendendo “L’orto americano” un film da non perdere per gli appassionati del genere e per chiunque desideri esplorare le sfumature dell’animo umano attraverso il cinema.