La vicenda di Alessia, una poliziotta transgender di 53 anni, è un esempio emblematico delle sfide che molte persone transgender affrontano nella società contemporanea. La sua storia è diventata tristemente nota dopo un’aggressione subita la notte di San Valentino, quando è stata picchiata da tre ultras nei pressi dello stadio Briamasco di Trento. Questo episodio non solo ha causato gravi ferite fisiche, con 22 punti di sutura alla testa, ma ha anche avuto un impatto profondo sulla sua psiche.
Alessia ha intrapreso il suo percorso di transizione un anno e mezzo fa, affrontando con coraggio e determinazione un cambiamento radicale nella sua vita. In un’intervista al Corriere della Sera, ha raccontato come i suoi colleghi l’abbiano accettata, scegliendo di chiamarla con il suo nuovo nome. «Mi chiami Alessia, diventerà questo il mio nome», afferma con sicurezza. Tuttavia, la vita quotidiana a Trento si è rivelata complessa e segnata da un forte clima di intolleranza.
Il disprezzo che Alessia percepisce per le strade della sua città è evidente. «C’è chi ti deride e fa la battutina, chi ti considera il peggio del peggio e ti guarda con disprezzo», racconta, evidenziando le difficoltà di vivere in un ambiente intriso di pregiudizi. La sua esperienza è una testimonianza delle sfide che le persone transgender devono affrontare per trovare la propria identità in una società spesso ostile.
L’aggressione subita da Alessia è avvenuta in un contesto di violenza legata al tifo calcistico. I tre ultras, appartenenti alla “Nuova Guardia”, un gruppo di estrema destra della curva Mair del Trento, l’hanno riconosciuta come poliziotta, nonostante fosse in borghese. La situazione è rapidamente degenerata, culminando in un pestaggio brutale che le ha causato un naso rotto e un trauma cranico. La prognosi di 30 giorni riflette non solo le ferite fisiche, ma anche l’impatto emotivo dell’aggressione.
Alessia vive con una profonda paura, non tanto per le ferite fisiche, ma per le conseguenze sociali della sua identità. «Sto vedendo e sentendo cose che mi feriscono», dice, alludendo alle voci e alle denigrazioni che circolano intorno a lei. La paura di una nuova aggressione, soprattutto perché gli aggressori «sanno dove abito», aggiunge un ulteriore strato di vulnerabilità alla sua situazione.
Il suo lavoro nella polizia, svolto principalmente in ufficio, le ha permesso di mantenere una certa sicurezza professionale. Pur non indossando spesso la divisa, Alessia ha potuto esprimere la sua femminilità senza le restrizioni del suo ruolo. Tuttavia, il suo status giuridico non è ancora aggiornato: nonostante il cambiamento di nome e identità, nei documenti risulta ancora maschio. La speranza è che, una volta concluso il percorso legale, possa finalmente ottenere il riconoscimento ufficiale della sua identità.
La carriera di Alessia nella polizia è iniziata 34 anni fa, con esperienze significative, tra cui un servizio d’ordine allo stadio. Oggi, guardando indietro, esprime nostalgia per i tempi passati e preoccupazione per il futuro della professione. «Questi sono tempi bui per la nostra professione. Le cose stanno peggiorando e non solo per me», afferma, evidenziando un clima di crescente intolleranza che colpisce non solo le persone transgender, ma anche chiunque si discosti dalla norma.
La transizione di Alessia ha rappresentato un viaggio complesso, segnato dall’incontro con la disforia di genere e dalla necessità di affrontare i propri demoni interiori. «All’inizio, quando ho avuto i primi segnali, non è stato semplice, non lo accettavo», confessa. Tuttavia, con il supporto di una psicologa, ha trovato il coraggio di essere autentica. La fase attuale della sua vita, in cui ha iniziato a prendere ormoni e antiandrogeni, è per lei la più bella e impegnativa.
Alessia è una voce importante nel dibattito sull’identità di genere e sui diritti delle persone transgender. La sua storia mette in luce le sfide quotidiane che molte persone affrontano nel tentativo di vivere la propria verità in una società che spesso fatica ad accettare la diversità. L’aggressione subita è un chiaro segnale di quanto sia ancora lontana la lotta contro l’intolleranza e la violenza.
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