Barbara D’Astolto, una donna di 48 anni, ha deciso di rompere il silenzio e di denunciare un sindacalista della Cisl per molestie sessuali. La sua storia ha suscitato grande attenzione mediatica e sociale, diventando una testimonianza di coraggio e determinazione, ma anche di un sistema che spesso sembra non tutelare adeguatamente le vittime di violenza. Oggi, Barbara, che ora lavora come insegnante di scuola primaria, racconta la sua esperienza, sottolineando l’importanza di questa battaglia non solo per sé stessa, ma soprattutto per le sue due figlie, di 12 e 8 anni.
La vicenda di Barbara inizia nel 2018, quando lavorava come hostess per voli charter da Milano Malpensa. Adorava il suo lavoro, ma la sua carriera subì una brusca frenata dopo la nascita della prima figlia e, ancor di più, dopo quella della seconda. A causa della richiesta di esonero dai turni notturni, Barbara e altre colleghe madri furono vittime di mobbing da parte dell’azienda. Stanca di subire questa ingiustizia, decise di rivolgersi a un sindacalista della Cisl, che le era stato raccomandato da un’amica. Quella che sembrava una scelta saggia si trasformò in un incubo.
Il sindacalista, che si presentava come un uomo semplice e affidabile, iniziò a farsi notare per il suo comportamento ambiguo. Durante un incontro privato nella sede del sindacato, la situazione degenerò. Barbara ricorda quei momenti come un incubo:
Questo racconto di violazione e aggressione è rappresentativo di una realtà che molte donne conoscono, ma che spesso viene relegata a un silenzio assordante. Barbara ha descritto come l’assenza di consenso non fosse stata compresa dai giudici in primo e secondo grado, che l’hanno assolta da ogni accusa. Per Barbara, quei venti secondi di immobilità, che per molti potrebbero sembrare un segnale di assenso, rappresentavano una reazione naturale di fronte a una situazione di pericolo imminente.
«Spero che oggi la Cassazione annulli quelle sentenze che hanno offeso non solo me, ma tutte le donne vittime di violenza», afferma Barbara in un’intervista a Repubblica, esprimendo la sua speranza che il sistema giudiziario possa finalmente comprendere la gravità di quanto accaduto. La sua battaglia legale non è solo una questione personale; è un atto di coraggio che vuole sensibilizzare le future generazioni sulle questioni di consenso e violenza di genere.
Barbara riflette su come le sue figlie potrebbero percepire la sua lotta quando cresceranno: «Sia che vinca, sia che perda, quando saranno più grandi capiranno il senso della mia battaglia. Voglio che sappiano che non devono mai avere paura di denunciare, di parlare, di farsi sentire».
Attualmente, Barbara ha cambiato vita: dopo aver ottenuto un diploma valido per insegnare, ha intrapreso la professione di insegnante. Ha ricostruito la sua vita accanto al marito e alle sue due figlie, cercando di creare un ambiente sereno e protettivo. Tuttavia, la ferita della sua esperienza non è mai del tutto guarita. La sua presenza in Cassazione rappresenta non solo una ricerca di giustizia personale, ma anche un impegno per un cambiamento culturale più ampio.
La sua storia ci ricorda l’importanza di dare voce a chi ha subito violenze e molestie. Ogni donna merita di essere ascoltata e rispettata, e ogni aggressione deve essere denunciata. Barbara D’Astolto è un simbolo di resilienza e determinazione, e la sua battaglia continuerà a ispirare altre donne a non arrendersi mai di fronte all’ingiustizia.
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