Le associazioni che raggruppano i familiari delle vittime insorgono: “Buttati i n un attimo tre anni di ricerche e studi. Questa non è giustizia”
Sono stati i due protagonisti principali nella gestione della pandemia in Italia. Giuseppe Conte, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio e Roberto Speranza, ministro della Sanità, sono entrati nelle case degli italiani con forza durante il periodo più buio della nostra storia recente. Attraverso i loro video, le conferenze stampa, ma soprattutto attraverso le decisioni prese per fronteggiare la pandemia, Conte e Speranza si sono assunti responsabilità importanti.
Ma non tuti, a distanza di anni, sono concordi sulla bontà del loro operato. La gestione della prima ondata Covid e gli errori commessi, avevano portato all’apertura di un’inchiesta giudiziaria. I due politici italiani sono stati accusati di epidemia colposa ed omicidio colposo plurimo dai pm di Bergamo in due dei tre filoni dell’inchiesta sul Coronavirus in una delle zone più colpite in Italia. Ma alla fine di una lunga serie di testimonianze e dopo aver ascoltato il loro racconto e quello dei loro avvocati, la Procura di Brescia ha preso una decisione definitiva.
Per Giuseppe Conte e Roberto Speranza è stata chiesta l’archiviazione. La procura di Brescia ha infatti chiesto al Tribunale dei Ministri di non proseguire nel procedimento a carico dell’attuale leader del Movimento 5 Stelle e del segretario di Articolo Uno. L’istanza, con una motivazione articolata in più pagine, di scagionare l’allora capo del governo e il Ministro della Salute, è stata depositata la scorsa settimana ai giudici bresciani chiamati, per competenza funzionale, a decidere sui parlamentari e in una seconda fase, per una questione giuridica, anche su gran parte degli altri indagati, tra cui il governatore lombardo Attilio Fontana. Gli interrogatori ai quali i due politici sono stati sottoposti e la lettura delle memorie difensive redatte dai propri legali, hanno convinto i pubblici ministeri.
Le spiegazioni di Speranza
Conte e Speranza erano sotto inchiesta per la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e a Nembro, oltre alla mancata attuazione del piano pandemico che, per l’accusa, avrebbe potuto evitare la diffusione del virus e numerosi morti. Su questo aspetto Speranza ha chiarito di non aver attuato il piano in quanto datato (era del 2006) e dopo una bocciatura da parte del Comitato tecnico Scientifico, che lo riteneva totalmente inefficace per combattere il Coronavirus. Invece, in quei giorni, “furono presi molti provvedimenti a cominciare dal blocco dei voli dalla Cina – sono in sintesi le parole dell’ex ministro -: l‘Italia fu la prima ad adottare misure insieme a Stati Uniti e Israele, subito dopo l’emergenza sanitaria”, ha detto Speranza nella sua dichiarazione spontanea.
La rabbia delle famiglie delle vittime: “Non è giustizia”
Rabbia e delusione tra le associazioni dei parenti delle vittime. #Sereniesempreuniti ha dichiarato: “Questa non è giustizia. Con questa richiesta è stata tradita per l’ennesima volta la memoria dei nostri cari e il loro sacrificio”. In una nota l’associazione ricorda che “la Procura di Bergamo, partendo anche dai nostri esposti, ha lavorato 3 anni a questa maxi indagine che coinvolge politici e funzionari a tutti i livelli. Le responsabilità accertate che hanno causato le morti dei nostri cari sono inconfutabili. Anche noi, con i nostri legali – proseguono i familiari delle vittime -, da 3 anni ci battiamo per fare memoria e per ottenere la verità. Ora toccherà al Tribunale dei Ministri esprimersi: la questione non è chiusa, confidiamo nella presa di coscienza di quanto accaduto, perché il Covid19 non è stato uno tsunami come ci vogliono far credere: molte morti si sarebbero dovute evitare e qualcuno è responsabile di ciò”.
Amarezza e delusione
I familiari delle vittime sono accompagnati da un pool di avvocati (Consuelo Locati, Giovanni Benedetto, Luca Berni, Piero Pasini, Alessandro Pedone), che hanno aggiunto: “Attendiamo la decisione del Tribunale dei Ministri e di capire le motivazioni della richiesta avanzata dalla Procura di Brescia soprattutto a fronte delle evidenze documentali contestualizzate in un’indagine di tre anni espletata in modo approfondito e coraggioso dalla Procura di Bergamo”. “Come figlia di una vittima – conclude l’avvocata Locati – personalmente sento questa richiesta poco rispettosa, sotto il profilo squisitamente umano, della memoria delle vittime e dei familiari sopravvissuti che chiedono che la verità emerga all’esito di un procedimento in contraddittorio, come prevede peraltro un ordinamento democratico”.