Secondo un rapporto stilato da Azione contro la Fame, i principali conflitti sono stati effettuati nei luoghi dove le condizioni alimentari sono terribili
Le principali guerre che attanagliano il mondo sono scoppiate nei luoghi dove fame, povertà e la crisi economica sono più evidenti. Lo specifica il nuovo rapporto pubblicato da Azione contro la Fame, che evidenzia come i conflitti e la violenza minacciano non solo la vita di milioni di persone, mettendone a repentaglio l’esistenza, ma anche la sicurezza alimentare.
Il report, chiamato “No Matter who’s fighting, hunger always win, evidenzia come i principali fattori che portano alla nascita e allo sviluppo dei più sanguinosi e lunghi conflitti sia la fame. Il rapporto tra i problemi legati al cibo e le guerre sono evidenti. Si evince infatti che circa l’85% dei 258 milioni di persone in condizioni di crisi alimentare, vive in un Paese in conflitto. Altro dato significativo è che per 117 milioni di persone i conflitti rappresentano la causa principale e diretta della fame. Il 24 maggio di cinque anni fa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottava all’unanimità la Risoluzione 2417, che riconosce il legame mortale tra conflitti e fame e dichiara che l’uso della fame come arma può costituire un crimine di guerra. Nonostante questa iniziativa storica, da allora non è stato aperto alcun procedimento giudiziario per crimini legati alla fame e l’insicurezza alimentare causata dai conflitti è in aumento.
“Le guerre sono la principale causa di fame nel mondo, eppure sia i conflitti che la fame sono prevenibili. Ed è questo che li rende ancor più inaccettabili – ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame – l’allarmante recrudescenza della fame nel mondo va di pari passo con il numero e l’intensità crescenti dei conflitti armati e con la palese inosservanza del diritto umanitario internazionale da parte dei belligeranti”. Il diritto umanitario internazionale proibisce gli sfollamenti forzati, la contaminazione da mine e gli attacchi alla terra, al cibo, all’acqua e agli operatori umanitari.
L’80% delle persone più povere del mondo vive in aree rurali e quindi dipende in larga misura dall’agricoltura; la maggior parte dei Paesi interessati da conflitti ha un’economia dipendente dall’agricoltura e anche dopo la fine di un conflitto, spesso le persone non riescono a tornare a coltivare i propri terreni, a causa degli espropri. Distruggendo o saccheggiando i raccolti e i mezzi di produzione, i raccolti agricoli sono spesso presi a bersaglio per indebolire la posizione politica ed economica della regione o per imporre il controllo sulla popolazione; i conflitti e l’insicurezza hanno contribuito a una riduzione della produzione locale nel 2022, ad esempio in Africa (-4,1%) e in Europa (-7,3%). In alcune regioni, l’estrema insicurezza alimentare ha portato le comunità a mangiare i semi necessari per la stagione successiva. Ciò, unito all’interruzione dei mercati a causa dei conflitti, influisce sulla capacità di riprendere la produzione agricole per più stagioni consecutive.
Nonostante questo, sono molte le azioni che vengono ugualmente compiute, in modo illegale, non permettendo alle popolazioni di trovare il cibo necessario al nutrimento delle proprie famiglie. Azione contro la Fame continua ad evidenziare come “nei Paesi colpiti da conflitti lunghi e sanguinosi, continuano ad essere compiute impunemente azioni che privano le persone della possibilità di nutrire sé stesse e le loro famiglie”. In Afghanistan, in Burkina Faso, nello Yemen, in Nigeria, e in altri Paesi, come Haiti, Somalia, Sudan del Sud, numerose persone hanno dovuto affrontare vere e proprie condizioni si carestia: il livello più estremo e mortale di mancanza di cibo. Secondo i dati, ad affrontare questi problemi legati alle gravi condizioni di insicurezza sul cibo, sono state ben 376.400 persone. Numeri che si riferiscono al 2022.
Il rapporto di Azione contro la Fame include testimonianze dirette sull’impatto dei conflitti sulla sicurezza alimentare di molti Paesi, come Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Siria. Un intervistato siriano ha raccontato: “le persone armate in questo Paese non rispettano i civili e ciò provoca enormi sofferenze nella popolazione. Quest’anno abbiamo seminato le nostre terre con grano e orzo; la stagione del raccolto è molto vicina. Le piogge sono state scarse quest’inverno e non possiamo irrigare con l’acqua dei nostri pozzi perché tutte le attrezzature sono state saccheggiate”.
Il rapporto descrive nel dettaglio tutti i modi in cui la fame può essere usata come arma di guerra: sfollamenti forzati, distruzione o saccheggio dei raccolti, espropriazione dei terreni, distruzione delle infrastrutture e dei servizi essenziali, contaminazione dei terreni agricoli con le mine antiuomo e, non da ultimo, azioni che ostacolano l’accesso umanitario.
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