A partire da domani, martedì 9 maggio, cominceranno gli incontri tra l’esecutivo e le opposizioni sulle riforme istituzionali.
Sul tavolo c’è anche l’elezione diretta del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio. Ma cosa potrebbe cambiare per l’Italia? Ne abbiamo parlato in esclusiva con il costituzionalista Stefano Ceccanti, professore ordinario di diritto pubblico comparato alla Facoltà di Scienze politica dell’Università La Sapienza e deputato del Pd fino ad ottobre 2022.
Professore, domani comincerà il confronto tra esecutivo e opposizioni sulle riforme istituzionali. Al centro del dibattito ci sarà anche l’elezione diretta del Capo dello Stato o del premier. L’Italia è pronta a questo cambiamento?
“L’Italia è pronta a superare una forma di governo debole, che è stata concepita come tale nel clima di radicale contrapposizione della Guerra Fredda. Ciò detto, bisogna fare attenzione ai modi. L’elezione diretta porta con sé, logicamente, una insostituibilità dell’eletto durante il mandato, pena il ritorno a nuove elezioni. Mi sembra più ragionevole l’ipotesi formulata in ultimo della commissione di esperti del governo Letta, ma già anche dalla Tesi 1 dell’Ulivo del 1996, di una legittimazione diretta di una maggioranza e del relativo candidato primo ministro, con qualche margine per eventuali sostituzioni in corso di mandato”;
Quali sono i percorsi che potrebbero essere intrapresi per arrivare a questa riforma?
“Il punto politico importante, al di là delle soluzioni tecniche, è cercare di individuare una sede distinta da quelle ordinarie, in cui legittimamente governo e opposizioni di scontrano sulla politica ordinaria”;
Nel caso di una Bicamerale o di una Costituente, serve una nuova legge costituzionale?
“Sì, ma eviterei il ricorso a organismi come Costituenti, che fanno pensare a un anno zero, a una riscrittura complessiva della Costituzione. Ragioniamo su una Commissione bicamerale che ottiene, appunto, l’obiettivo di sganciarsi dallo scontro politico quotidiano”;
Cosa cambierebbe per gli italiani con l’elezione diretta del premier o del Presidente della Repubblica?
“Lasciamo il Capo dello Stato con una funzione di garanzia per la quale è più logica l’attuale modalità elettiva. Ragioniamo su forme ragionevoli di legittimazione diretta che riproducano, attraverso alcune norme ben congegnate, quello avviene nelle altre democrazie parlamentari. Avviene grazie a un accordo tra di loro. Quasi tutta l’Europa continentale pratica governi di coalizione. Poi, attraverso alcune regolamentazioni delle norme di sfiducia e scioglimento, ci sono deterrenti contro le crisi e i governi tendono a durare per la legislatura. Bisogna ispirarsi a quelle soluzioni. Meglio un’indicazione che un’elezione diretta. Quest’ultima comporterebbe nuove elezioni ad ogni cambio di premier e di governo, un modello che sarebbe tropo rigido per un governo nazionale”;
Secondo lei ci sono possibilità di confronto tra l’esecutivo e il Pd su questo tema?
“L’accordo è un problema di volontà politica, perché le differenze tecniche non sembrano insuperabili”.