Dopo il forte maltempo, oggi è la giornata del bilancio di quanto accaduto in Emilia Romagna negli ultimi giorni, che ha provocato due morti.
Ma perché le forti piogge hanno causato l’alluvione? Ne abbiamo parlato con Barbara Lastoria, responsabile della Sezione Metodologie e standard per l’attuazione delle Direttive Acque e Alluvioni dell’Ispra. “La ricostruzione dei danni è in corso e trattandosi di aree piuttosto vaste, occorre del tempo utile per raccogliere dati a livello comunale e fare una sintesi”, spiega.
Dal punto di vista degli eventi, aggiunge, “ci sono state piogge intense che hanno interessato il tratto montano di una serie di affluenti soprattutto nel bacino del Reno e del Lamone. Questi corsi d’acqua hanno un regime prevalentemente torrentizio ed hanno un’ampia estensione lineare nei tratti di pianura. Siccome questi ultimi sono urbanizzati e segnati da presenza antropica e negli anni hanno subito una serie di interventi a difesa delle popolazioni e delle attività economiche, sono spesso fortemente arginati. Quindi tutta la precipitazione che è caduta in maniera persistente sulle aree montano-collinari, è stata convogliata all’interno dei corsi d’acqua, dando origine a una serie di alluvioni, alcune delle quali anche per rottura arginale. Poiché queste aree di pianura sono piatte, la propagazione dell’esondazione è avvenuta in maniera piuttosto diffusa e ampia, interessando le zone della provincia di Ravenna, Bologna e Forlì Cesena”.
Com’è possibile che questi tratti sono esondati, se erano in secca?
“Questo è avvenuto proprio per le caratteristiche dei corsi d’acqua appenninici. Poiché hanno un regime torrentizio non particolarmente permanente, questi corsi d’acqua vanno soggetti a piene rapide e intense e concentrano rapidamente i flussi meteorici per poi trasformarli in deflussi”;
Ovviamente, questi eventi non sono prevedibili. Ma i danni possono sicuramente essere prevenuti. C’è qualcosa che non è stato fatto e che poteva essere fatto per evitare il disastro in Emilia Romagna?
“In queste situazioni non è opportuno definire né colpe né limiti delle attività messe in campo. Piuttosto, forse bisognava fare un po’ meno interventi. D’altra parte lo sviluppo urbanistico e le attività antropiche hanno portato nel corso degli anni in tutta Italia a una serie di interventi che hanno contribuito al confinamento progressivo dei corsi d’acqua. Ovviamente questo limita la capacità naturale delle piane alluvionali, di laminare parte della portata in alveo”;
Cosa va fatto ora?
“Quello che secondo me andrebbe fatto nei prossimi anni – ma non si può realizzare in poco tempo – è una serie di analisi costi-benefici per individuare quali aree possono essere destinate alla naturale espansione delle piene. Soprattutto agire sulla vulnerabilità degli elementi esposti e delle opere esistenti, che sono state realizzate in varie epoche. Cioè, verificare quali di queste hanno necessità urgente di manutenzione, in modo da garantirne la performance. Dall’altra parte, va migliorata la vulnerabilità della popolazione attraverso campagne informative. Queste ultime negli ultimi hanno hanno comunque sortito un minimo di effetto sulla consapevolezza. La popolazione infatti, tende progressivamente ad assumere comportamenti più prudenti. Questo è fondamentale perché implica anche meno morti, meno dispersi, meno feriti. Se guardiamo gli esiti degli eventi accaduti in passato, c’è stata una riduzione sostanziale degli effetti sulla popolazione in termini di danni. Ovviamente le vittime, pur essendo poche in questo caso, sono comunque un dato inaccettabile e terribile”;
Lastoria spiega: “La generazione degli eventi estremi è una concatenazione di cause. Gli interventi antropici non sono solo le opere, ma anche il cambiamento che abbiamo apportato al territorio e alle superfici scolanti che drenano l’acqua o la lasciano filtrare. Le attività dell’uomo hanno portato al cosiddetto “consumo del suolo”, che non è solo l’artificializzazione delle superfici, ma anche la perdita di una serie di servizi ecosistemici abbastanza ampi, che vanno dalla fornitura di cibo, acqua, fibre, fino alla regolazione delle piene, alla possibilità della precipitazione in infiltrarsi, raggiungere le falde ed essere disponibile all’utilizzo dal punto di vista umano e ambientale in vari momenti dell’anno”;
Quale ruolo gioca invece, il cambiamento climatico?
“I cambiamenti climatici comportano l’intensificarsi di eventi estremi come la siccità o eventi alluvionali, perché cambiano la distribuzione delle temperature e il modo in cui si formano e si distribuiscono le perturbazioni sul nostro territorio. Abbiamo visto anche questo inverno una cospicua riduzione del manto nevoso in vaste aree dell’arco alpino, e constatato come aree storicamente interessate ad alluvioni che hanno subito in questi mesi grossi problemi di scarsità idrica”.
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