Omicidio Leo a Torino, la confessione shock: “L’ho ucciso perché era felice…”

AGGIORNAMENTO ORE 15:52 – “Ho scelto di uccidere questo giovane perché si presentava con aria felice. E io non sopportavo la sua felicità”. È la confessione allucinante di Said Machaouat, il 27enne reo confesso dell’omicidio di Stefano Leo. A riferire la frase è il procuratore vicario di Torino, Paolo Borgna.

Ha ucciso “per caso”, scegliendo chi più gli somigliasse, per togliergli il futuro. Dai riscontri che i carabinieri hanno svolto dopo la confessione di Said Machaouat emerge sempre più chiaramente l’assenza di un movente alla base dell’omicidio di Stefano Leo. E che non ci sia nessun legame tra la vittima e l’italiano di origine marocchine che l’ha ucciso lo dicono gli investigatori. “Parliamo di un senzatetto che non aveva soldi per mangiare, né per comprare giornali, e non aveva un telefonino cellulare” ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Torino, colonnello Francesco Rizzo, che esclude anche contatti tra il reo confesso e la vittima prima del delitto.

Said Machaouat, reo confesso dell’assassinio di Stefano Leo

C’è un sospettato per l’omicidio a Torino del 34enne Stefano Leo, secondo quanto riportano le agenzie di stampa e l’Ansa in particolare. A poche ore dalla “passeggiata” di amici e parenti in riva al Po per chiedere di far luce sul delitto, un 27enne con piccoli precedenti penali ha rivelato di essere stato lui, lo scorso 23 febbraio, a uccidere la vittima con un fendente alla gola.

I carabinieri del Comando provinciale di Torino, coordinati dai sostituti procuratori Ciro Santoriello e Enzo Bucarelli, hanno già trovato i primi riscontri alla confessione. Nei suoi confronti è stato disposto il fermo di indiziato di delitto. L’uomo, Said M., un italiano di origini marocchine, è stato trattenuto fino alla tarda serata di domenica 31 marzo in via Valfrè, negli uffici dell’Arma.

Lì era stato portato dopo che si era presentato spontaneamente in Questura. “Quello in riva al Po l’ho ucciso io“, ha detto in modo confuso agli agenti, sostenendo di essere stato guardato e di aver reagito “perché volevo che soffrisse come me”. Trasferito al Comando dei carabinieri, alla presenza del suo legale di fiducia, avvocato Basilio Foti, è iniziato l’interrogatorio, durato oltre tre ore.

Il lavoro investigativo condotto in questo mese dai militari dell’Arma e dai magistrati ha consentito loro di trovare i primi riscontri alla confessione. Tra cui la presunta arma del delitto, un affilato coltello da cucina nascosto in una cassetta dell’Enel di piazza d’Armi. Restano però ancora molti punti da chiarire, a cominciare dal movente di un delitto tanto efferato quanto misterioso.

Originario di Biella, una laurea in Giurisprudenza, Leo viveva dallo scorso novembre a Torino. Dopo un lungo periodo trascorso all’estero, tra Cina, Giappone e Australia, era commesso in un negozio d’abbigliamento del centro. Sempre puntuale, sempre preciso, tutte le mattine per recarsi al lavoro faceva una passeggiata in lungo Po Macchiavelli. L’ha fatta anche quella mattina del 23 febbraio, un sabato, ignaro che stava andando incontro al suo assassino. Un uomo, rimasto sconosciuto fino ad oggi, che lo ha ucciso senza un apparente motivo con una coltellata alla gola.

Siamo ancora increduli. Quello che è accaduto a Stefano non deve più succedere a nessuno”, dicevano ancora ieri i suoi amici, un centinaio di palloncini rossi liberati in cielo, dal luogo del delitto, per chiedere “verità e giustizia”. Era presente anche la sindaca, Chiara Appendino, per manifestare la vicinanza della città alla famiglia Leo. Che ora attende di conoscere gli ultimi sviluppi dell’inchiesta, nella speranza che sapere chi ha ucciso Stefano porti loro un po’ di pace.

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