Il Centro studi di Confindustria vede una “Italia ferma”. E azzera le previsioni per il Pil 2019 (già ribassate a ottobre al +0,9%). Pesano anche “una manovra di bilancio poco orientata alla crescita”. Ma anche “l’aumento del premio di rischio che gli investitori chiedono” sui titoli pubblici italiani. E, purtroppo, “il progressivo crollo della fiducia delle imprese” rilevato “da marzo, dalle elezioni in poi”.
Gli investimenti privati sono per la prima volta in calo (-2,5%, escluse costruzioni) dopo 4 anni di risalita. Nel 2019 “per ora non si vede un’inversione di tendenza nei contratti”. I lavoratori dipendenti “sono tendenzialmente fermi, c’è un calo del lavoro a termine ma non è ancora compensato dai contratti a tempo determinato”.
Così il Centro studi Confindustria. L’associazione degli industriali italiani definisce il 2018 “a due velocità” visto che nei primi 6 mesi l’occupazione è cresciuta di 198.000 unità mentre nel II semestre è calata di 84.000. Nel 2019 l’occupazione resterà “sostanzialmente stabile (+0,1%)” e aumenterà dello 0,4% nel 2020.
“Nel 2019 la domanda interna risulterà praticamente ferma. Una recessione potrà essere evitata solo grazie all’espansione, non brillante, della domanda estera. A meno che – avverte il rapporto del Centro studi di Confindustria – non si realizzi l’auspicato cambio di passo nella politica economica nazionale”.
Il reddito di cittadinanza e Quota 100 “daranno un contributo, seppure esiguo, alla crescita economica”. Un “aiuto” concentrato nel 2019 ma “queste due misure, realizzate a deficit, hanno contribuito al rialzo dei tassi sovrani e al calo della fiducia, con un impatto negativo sulla crescita”.
“Il Governo ha ipotecato i conti pubblici e non ci sono scelte indolori”, avverte il Centro studi di Confindustria, sottolineando il “bivio” tra “rincaro Iva” o “far salire il deficit pubblico al 3,5%”. Per annullare il primo e fare la correzione richiesta sui conti “servirebbero 32 miliardi di euro senza risorse per la crescita”.
Così appare “inevitabile un aumento delle tasse”. “L’Italia – dice il capoeconomista di Confindustria Andrea Montanino – deve evitare di andare oltre il 3% nel rapporto deficit-Pil: sarebbe un segnale molto negativo per i mercati. Il fatto che lo spread non si è richiuso significa che continuiamo ad essere un paese sotto osservazione. Verremmo puniti dai mercati”.
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