La storia da cui il giornalista Giovanni Grasso prende spunto per il suo romanzo intitolato “Il caso Kaufmann”, edito da Rizzoli, è sicuramente tragica, visto il noto epilogo del suo protagonista maschile. Ma lo scrittore è riuscito a raccontarla con una sensibilità d’animo fuori dal comune, una dolcezza nella trattazione che, anche se solo a tratti, riesce a far dimenticare al lettore la triste fine del commerciante ebreo condannato a morte per il reato di “Inquinamento Razziale”.
Che non sia una storia d’amore a lieto fine è noto, visto che “Il caso Kaufmann” di Giovanni Grasso prende spunto dalla storia vera di un commerciante ebreo che ebbe “l’ardire” di innamorarsi di una giovane ariana, la figlia di un suo amico. Più grande di lei, di una religione che, nella Germania nazista, voleva dire “condanna a morte” certa, non ha avuto scampo. Accusato del reato di “inquinamento” razziale”, è stato giustiziato dopo un “processo-farsa” della Corte Speciale, la stessa che costrinse la ventiduenne Irene a quattro anni di carcere per “falsa testimonianza”.
Eppure questo sentimento scaturito tra i due in maniera del tutto spontanea sin dalle prime pagine sembra davvero inarrestabile, di quelli per cui vale la pena vivere e morire. Leo Kaufmann ha sessantadue anni, è vedovo, vive a Norimberga, è presidente della comunità ebraica locale e titolare di una grande azienda ereditata dal nonno. Irene invece è la ventiduenne figlia di un amico, una ragazza brillante, e bella, che studia fotografia. A causa di una grande delusione sentimentale si trasferisce nella mansarda di lui, venendo subito attratta da quell’uomo gentile, raffinato, affettuoso e, a modo suo, affascinante.
Giovanni Grasso lascia intuire, con pennellate delicate di poesia, la potenza di quel sentimento che non sfocerà mai in un rapporto carnale, nonostante il desiderio di entrambi. L’antisemitismo spazzerà via tutto: vite, emozioni, giustizia. “Mi rende felice che in questo libro sia difficile, almeno secondo quanti lo hanno già letto, dividere la realtà dalla fantasia”, rivela Giovanni Grasso durante la presentazione capitolina de “Il caso Kaufmann”.
“Ovvero: non si capisce bene dove finisce la storia e inizia il romanzo. Questa per me è una grande soddisfazione perché vuole dire che ho dato vita a due personaggi credibili per la loro stessa natura ma anche per il difficile periodo storico in cui erano immersi. Ricostruirne le tracce nel mondo reale, quello dello sterminio degli ebrei in Europa, è stato abbastanza laborioso, visto che i documenti processuali del caso Kaufmann non sono esattamente facili da reperire. Vent’anni fa, quando ho iniziato a interessarmi a questa storia, in Italia degli atti del processo di Norimberga c’erano soltanto quelli dei grandi gerarchi nazisti da cui sono stati tratti i film che tutti conosciamo. Col tempo ho scoperto che ci furono dei processi paralleli, ai giudici nazisti, ai medici nazisti, agli industriali nazisti, i cui atti erano stati raccolti in volumi disponibili solo in America e solo in inglese. Ovviamente li ho ordinati, aspettando tre o quattro mesi, non ricordo a perfezione, che arrivassero via nave. Mentre attendevo la loro consegna, sentivo che i personaggi di Leo e Irene mi chiamavano di notte, erano già nei miei pensieri, quindi la prima parte del libro ho iniziato a scriverla senza sapere nulla della vicenda. L’unica cosa nota era che c’era un uomo anziano ed ebreo, una donna giovane e ariana che erano stati processati per l’inquinamento della razza. Intorno a loro cattiveria, ostilità, perfidia, un mondo che, anche quando non offende in prima persona, chiude gli occhi e lascia che gli eventi negativi seguano il loro corso”.
Nel moderare la presentazione del libro, il critico letterario Marino Sinibaldi, ha definito “Il caso Kaufmann” un libro doveroso e coraggioso: quando infatti si incontra una storia del genere si ha il dovere, la responsabilità morale di condividerla. Perché quel periodo nefasto, quello della Shoah, non venga mai dimenticato.
Photo Credits: “Il caso Kaufmann” Press Office