Nel corso di un processo per omicidio il pubblico ministero aveva chiesto la pena di 30 anni di carcere per un uomo che aveva ucciso la compagna. La colpì con diverse coltellate al petto dopo aver scoperto che non aveva mantenuto la promessa di lasciare l’amante.
Il giudice, per questo, ha concesso le attenuanti generiche e lo ha condannato a 16 anni. Accade a Genova. Nella motivazione della sentenza si legge che l’uomo ha colpito perché mosso “da un misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento”.
“Con questa motivazione è stato riesumato il delitto d’onore”, afferma l’avvocato Giuseppe Maria Gallo che assiste i familiari di Jenny Angela Coello Reyes, uccisa dal marito, commentando le motivazioni della condanna a 16 anni per l’uomo. “Ormai – dice – assistiamo a un orientamento più culturale che giuridico, gli omicidi a sfondo passionale sono inseriti in un circuito di tempesta emotiva”. Il legale ha fatto istanza alla procura per impugnare la sentenza ma il pm ha respinto “senza fornire motivazione”.
È di soli pochi giorni fa la sentenza che dimezza la pena su un altro caso di femminicidio. In uno dei passaggi chiave del provvedimento della Corte di assise di appello di Bologna si dice che una “tempesta emotiva” determinata dalla gelosia può attenuare la responsabilità di chi uccide.
In questo caso un uomo accecato dalla gelosia si era visto ridurre la pena per l’omicidio della compagna da 30 a 16 anni. Le attenuanti sarebbero state concesse anche in base alla valutazione dello stato d’animo dell’assassino. E sebbene gran parte della riduzione di pena fosse addebitabile ad altri motivi, il ministro e avvocato Giulia Bongiorno aveva evocato il delitto d’onore.
Tornando al caso di Genova, per gli investigatori l’assassino aveva scoperto mesi prima il tradimento della moglie. Era andato in Ecuador, per dimenticare. Poi era rientrato a Genova, su richiesta della donna, che gli aveva giurato di aver allontanato l’altro uomo. Ma non era così.
L’alcol, le liti, gli insulti di lei e le bugie, per il giudice hanno contribuito a spingere il marito a quel moto di violenza. “Il contesto in cui il suo gesto si colloca – scrive il giudice – vale a connotare l’azione omicidiaria, in un’ipotetica scala di gravità, su di un gradino sicuramente più basso rispetto ad altre”. Così le attenuanti. Malgrado che, scrive il giudice, “non c’è proporzione tra il motivo che ha spinto l’imputato a colpire a morte e la gravità del gesto e delle sue conseguenze”.
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