Videogiornalista di lungo corso, Giuliano Marrucci è da oltre dieci anni fra gli autori di Report, per la Rai. A Velvet Mag, che lo ha incontrato, racconta la sua passione per la Cina. Descritta nel libro Cemento Rosso – il secolo cinese, mattone dopo mattone (Mimesis), frutto di una serie di viaggi, nell’arco di più anni, da parte dell’autore, alla scoperta di un Paese grande quanto un continente, abitato da quasi un miliardo e mezzo di uomini e donne, lentamente ma progressivamente sempre più all’attenzione del dibattito in Italia.
E ciò per un motivo brutalmente semplice: nell’epoca del declino geopolitico ed economico-finanziario dell’Occidente è la Cina la nuova superpotenza planetaria. Temuta e sfidata dagli Stati Uniti neo-isolazionisti di Trump; punto di riferimento, anche se controverso, per il continente africano alla ricerca di un modello per uscire dalla povertà; guardata con sospetto dalla vicina ed enigmatica Russia. Attesa infine, in ordine sparso, dall’Europa, quale immenso nuovo mercato in cui conquistare un posto al sole per le proprie aziende, non ultimi i più blasonati marchi del made in Italy.
“L’equilibrio internazionale, che oggi appare disintegrato, è invece ricercato dalla Cina – spiega Marrucci – Xi Jinping muove in avanti il Paese con una visione di governance mondiale, una sorta di ‘democratizzazione’ dell’arena internazionale per ottenere un maggiore riconoscimento della Cina da parte degli altri Paesi”. Non a caso per molti osservatori il presidente della Cina, Xi Jinping, è l’unico leader “globale”. A quarant’anni esatti da quando, il 18 dicembre 1978, il successore di Mao Zedong, Deng Xiaoping, dette il via alla stagione delle grandi riforme del Dragone.
In Cemento Rosso Marrucci racconta in presa diretta – tra i pochi italiani ad averlo fatto – come e perché negli ultimi quarant’anni il modello di sviluppo cinese, fordista e autoritario ma al tempo stesso di una produttività ed efficienza senza pari al mondo – abbia tolto dalla miseria 740 milioni di persone, gestendo il più rapido processo di urbanizzazione che la storia ricordi. E abbia allargato la classe media a 400 milioni di consumatori, edificato dal nulla città nel deserto, investito centinaia di miliardi di dollari in costruzioni e infrastrutture, comprese ferrovie ad alta velocità a 3.000 metri di altezza. Ma anche trasformato villaggi di pescatori in megalopoli da 18 milioni di abitanti come Shenzen, capitale Hi-Tech del Paese, e aperto una nuova “Via della Seta” in grado di collegare direttamente le merci dalla Cina a Duisburg (Germania), il più grande porto interno d’Europa.
In occasione del quarantennale delle riforme il potentissimo Xi Jinping (ha fatto cancellare i limiti temporali al suo mandato) ha promesso un “nuovo miracolo economico” e che costruirà un “Paese più bello”. Sogni quasi proibiti nell’Occidente ripiegato su se stesso. “Eppure la Cina è ‘europeista’, è terrorizzata, cioè, dall’idea che l’Unione europea possa disgregarsi”, afferma l’autore di Cemento Rosso. “Perché in fondo l’Europa può essere, dal punto di vista cinese, un argine agli Stati Uniti”.
Il modello di sviluppo cinese, come Marrucci descrive nel suo libro, non è certo esente da forti contraddizioni. Un socialismo spesso senza uguaglianza, che crea segregazioni. Che non ha molti riguardi per l’ambiente né scrupoli ecologici, malgrado che adesso tra molte città si faccia a gara a disporre di più aree verdi possibili. “La Cina tuttavia sta facendo quello che altri non sono più in grado di fare – spiega Marrucci -. Ad esempio raggiungere molto prima del previsto, già nel 2019, il limite concordato nella produzione di carbone, fissato dagli organismi internazionali al 2030“.
In questo contesto la Cina come considera l’Italia? “Certamente, da anni, siamo una meta turistica importante per loro, però è inutile negarlo: ci considerano inesistenti per peso politico e istituzionale. Siamo il Paese dei marchi del lusso e del buon vivere ma non rappresentiamo molto nell’immaginario collettivo cinese che è invece molto più influenzato dall’Inghilterra e dalla Germania in particolare. Per non parlare di Paesi asiatici come la Corea del Sud”. In questo quadro si inserisce la vicenda del contestato spot di Dolce & Gabbana alla vigilia della sfilata a Shanghai, poi cancellata per le durissime critiche cinesi. “È una vicenda che dimostra il livello di una parte della nostra classe imprenditoriale, non in grado di comprendere la Cina. I cinesi non ammettono, giustamente, che non li si rispetti. Anche se poi ho trovato in parte esagerate ed eccessive le proteste di Pechino. Non bisogna sottovalutare l’esacerbarsi del nazionalismo cinese”.
Photo credits: Facebook / Giuliano Marrucci; Twitter
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