“Questo è successo a me e non a qualcun altro. È successo su un treno della metro di Roma. Fermi a una fermata urla, trambusto, il pianto disperato di una bambina”. Inizia così il post su Facebook di Giorgia Rombolà, giornalista di Rai News24. La donna si è trovata, suo malgrado, a essere spettatrice e poi protagonista di un’aggressione avvenuta nella stazione della metropolitana nella Capitale mercoledì 5 dicembre.
“Una giovane, credo rom, tenta di rubare un portafogli. La acciuffano ne nasce un parapiglia, la bambina cade a terra, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa”, continua il racconto della Rombolà sui social. La giornalista interviene in prima persona a difendere la giovane rom dalle botte, ma, salita sul treno, viene poi insultata dai passeggeri che si scagliano in difesa dell’autore della violenza.
L’aggressore ha prima strappato la giovane rom ai vigilantes tirandola per i capelli, poi l’ha strattonata e l’ha sbattuta contro il muro “due, tre, quattro volte”. La bambina ha iniziato a piangere. A quel punto è intervenuta la Rombolà urlandogli in faccia di fermarsi. “Solo adesso penso che con quella rabbia mi avrebbe potuta ammazzare colpendomi con un pugno“.
Ma ciò che alla giornalista ha lasciato più amarezza dell’aggressione stessa è stata la reazione degli altri passeggeri quando è salita sul treno. “Un tizio che mi insulta dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla. Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina. Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli. Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo.
“Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza. Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra. Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita. C’è un tizio che continua a insultarmi. Dice che è fiero di essere volgare. E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata. Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me”.
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