Gianfranco Castellotti, italiano, 53 anni, di professione veterinario a Massa, in Toscana, è finito in carcere in Turchia, a Istanbul, ieri 4 ottobre. L’uomo, militante dell’Anti-imperialist Front Italia, si trovava nel centro culturale Idil, nel quartiere Okmeydani. La notizia è riportata dal sito del quotidiano Il Tirreno, in un articolo di Melania Carnevali. Secondo quanto scrive Carnevali, Gianfranco Castellotti era arrivato a Istanbul da qualche giorno per seguire, come osservatore, il processo a carico dei Grup Yorum, gruppo musicale turco accusato di terrorismo per aver inneggiato alla libertà contro il governo di Erdogan. Solo per questo motivo, l’italiano rischia anche lui, come gli altri fermati, un’accusa di terrorismo o altre di pari gravità.
Il vice console per l’Italia in Turchia, dieci ore dopo il fermo, ha fatto sapere alla compagna dell’uomo che “dal commissariato dicono che il signor Castellotti non è formalmente ancora accusato di niente e che è solo loro ospite”. L’avvocato turco che fa la spola fra lui e gli altri fermati, invece, fa sapere ben altro e cioè che, benché non sia stata ancora formulata un’accusa a suo carico, “Gianfranco in serata (giovedì 4, ndr) sarà trasferito in carcere” e ci rimarrà “almeno fino a lunedì quando si terrà l’udienza”. Due gli scenari possibili: o il foglio di via (senza possibilità di ritorno in Turchia) o l’arresto. Castellotti, militante storico della sinistra massese, è stato più volte in Turchia come osservatore nei processi di chi si trova in carcere senza un motivo. Giovedì 4 ottobre era in attesa dell’udienza quando i poliziotti turchi hanno sfondato la porta del centro culturale. “Conosceva i rischi a cui andava incontro seguendo questi processi – fanno sapere dal suo collettivo – ma non si è mai arreso. Aveva bisogno a tutti i costi di trasmettere il suo calore umano e il suo spirito combattivo ai militanti rinchiusi nelle celle fredde delle prigioni di tipo F”. Nelle carceri turche le celle di tipo F, introdotte per la prima volta circa vent’anni fa, sono speciali settori dove vengono isolati i prigionieri politici, una volta separati dai detenuti comuni.
La Turchia di Erdogan è un paese considerato da molti osservatori occidentali come anti democratico e sostanzialmente dittatoriale, aldilà del fatto che esistono formalmente elezioni presidenziali. È lo stesso paese in cui, lo scorso anno, il giovane regista e blogger lucchese Gabriele Del Grande fu tenuto in stato di detenzione per 15 giorni, sottoposto a fermo, senza un motivo chiaro. Anche grazie alla mobilitazione diplomatica del governo italiano, Del Grande fu rilasciato dalle autorità turche. Secondo quanto egli stesso spiegò, il blogger era entrato nel mirino della polizia per il suo lavoro di documentazione sulla vita quotidiana e le violazioni dei diritti umani nei paesi del Medio Oriente. Come ricorda ancora Il Tirreno online, per un anno è stato in carcere in Turchia Deniz Yucel, corrispondente del quotidiano tedesco Die Welt accusato di terrorismo per i suoi articoli anti-governativi. E, sempre in Turchia, appena due giorni fa è stata confermata in appello la condanna all’ergastolo aggravato – una sorta di 41 bis – per sei scrittori e giornalisti accusati di attentato all’ordine costituzionale per presunti messaggi subliminali lanciati durante trasmissioni televisive.
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