Ventisei anni dopo, la strage di via D’Amelio, di cui il 19 luglio ricorre l’anniversario, è storia più che recente. Tanto che l’ultima parola nella ricostruzione della vicenda è arrivata solo venti giorni fa, con le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise.
Una parola tutt’altro che conclusiva: nell’indagine sull’attentato – si legge nel dispositivo – c’è stato “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“, con servitori infedeli dello Stato che convinsero piccoli criminali a trasformarsi in pentiti di Cosa nostra per costruire una falsa verità. Con lo sgomento suscitato da queste parole, oggi si ricorda Paolo Borsellino, l’uomo e il magistrato, insieme agli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina, che con lui persero la vita.
“Borsellino era un giudice esemplare – dice il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella , a cui la mafia ha assassinato il fratello Piersanti – probo, riservato, coraggioso e determinato. Le sue inchieste hanno costituito delle pietre miliari nella lotta contro la mafia in Sicilia. Insieme al collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino è diventato, a pieno titolo, il simbolo dell’Italia che combatte e non si arrende di fronte alla criminalità organizzata”. Ricordare, continua il Capo dello Stato, significa anche “non smettere di cercare la verità“.
“Finora è stato fatto poco” per trovare la verità sulla strage, sostiene Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, in un’intervista al blog M5S. “Mi aspetto che vengano scoperchiati gli archivi dove ci sono i segreti di questo nostro disgraziato Paese. Questo mi aspetto dal nuovo Governo: verità e giustizia. Verità e giustizia, non ho nient’altro dire”.
Si rivolge poi alla Commissione antimafia che “ha dei poteri immensi, può accedere agli archivi, può interrogare persone senza l’autorizzazione della magistratura”. Erano le 16:58 del 19 luglio 1992 quando una Fiat 126 con 90 chili di esplosivo esplose in via D’Amelio 21 a Palermo, dove viveva la madre del giudice. Il magistrato, accompagnato da tutta la sua scorta (c’era anche Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), era appena arrivato a farle visita. Racconterà l’unico agente sopravvissuto, Antonino Vullo: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo parcheggiando l’auto. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…”.
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