Licenziata per giusta causa per aver insultato la sua azienda su Facebook. Una decisione corretta, secondo una sentenza della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di una lavoratrice di Forlì.
La notizia è riportata dal Resto del Carlino. La vicenda iniziò nel 2012 quando un’impiegata di 43 anni afflitta da invalidità scrisse un post sul social network, con espressioni volgari e inequivocabili, dicendo in sostanza di essersi stancata della continua modifica degli incarichi che le venivano affidati. Lo sfogo fu visto dal legale rappresentante dell’azienda, suo “amico” sul web e due giorni dopo alla dipendente arrivò una lettera di contestazione e a fine mese il licenziamento.
Il post fu cancellato e la donna decise di impugnare l’atto al tribunale del Lavoro, ma in primo grado e poi in appello i suoi ricorsi sono stati respinti dai giudici che hanno giudicato scorretto il suo comportamento. Il 27 aprile scorso è arrivata la decisione definitiva della Cassazione. I magistrati della Suprema Corte hanno sottolineato che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone”.
La 43enne, al momento del post incriminato, aveva 123 amici virtuali. Ancora, scrive Il Resto del Carlino: la realizzazione di un post sul social, secondo i giudici della Cassazione “realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque apprezzabile per la composizione numerica, con la conseguenza che, se come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili“. In questo modo modo, riporta il verdetto, la condotta “integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo”.
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