Una confessione dell’omicidio alla compagna, recatasi a trovarlo in carcere. L’avrebbe fatta il pusher nigeriano Innocent Oseghale, 29 anni, fermato insieme ad altri per l’omicidio della 18enne Pamela Mastropietro a Macerata. L’uomo, intercettato dalle forze dell’ordine, avrebbe ammesso di essere stato l’unico esecutore del terribile massacro di Pamela, fatta a pezzi e abbandonata in due valigie per strada.
Lo scrive sul Resto del Carlino Paola Pagnanelli. Il nigeriano è in carcere dal 31 gennaio scorso, il giorno stesso in cui furono trovati i resti della ragazza nei due trolley abbandonati sul bordo di una strada isolata a Casette Verdini di Pollenza (Macerata).
LA PRIMA VERSIONE DEL PUSHER
L’uomo ha sempre detto di avere incontrato ai giardini Pamela, in cerca di una dose di eroina, di averla messa in contatto con Lucky Desmond, di averla ospitata nella sua mansarda e poi, quando lei si era sentita male dopo l’iniezione, di essere scappato. Ha sempre sostenuto di non sapere nulla dell’omicidio, dell’accanimento sul suo corpo, e persino dei trolley che lui stesso – come un testimone, il tassista che lo ha accompagnato, afferma con certezza – avrebbe portato a Casette Verdini.
L’INCONTRO CON LA SUA DONNA
In carcere a Marino del Tronto, su sua richiesta, Oseghale ha chiesto di incontrare la compagna, una ragazza italiana con la quale ha vissuto fino alla nascita della loro bambina, che aveva fatto scattare per lei il ricovero in comunità. Il nigeriano ha chiesto di rivedere la ragazza, e l’incontro si è tenuto in carcere. Lì lui le avrebbe confessato il delitto.
MA I CONTI NON TORNANO…
“Ho ucciso io Pamela, e ho fatto tutto da solo“. Affermazioni inequivocabili e chiare, quelle intercettate, con cui lui si sarebbe preso ogni responsabilità di questo delitto violento. La confessione si somma agli altri elementi raccolti su di lui, tra i quali – uno degli ultimi dati emersi grazie alle indagini del Ris (reparto investigazioni scientifiche) – il fatto che sul corpo della diciottenne è stato trovato il dna del nigeriano. Ma l’inchiesta potrebbe non essere risolta. Appare infatti inverosimile, agli inquirenti, che una sola persona abbia fatto tutto da solo: il corpo della povera Pamela era dissanguato e fatto a pezzi con precisione, per essere immerso nella candeggina nella speranza di eliminare ogni traccia, e la mansarda accuratamente ripulita, da qualcuno che – come hanno commentato gli inquirenti – sapeva come e dove pulire. Dunque, ci sono ancora diversi aspetti da chiarire.
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