Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni, Stefano Cianciotta è docente di Comunicazione di Crisi aziendale all’Università di Teramo, oltreché opinionista del Foglio, del Messaggero e delle trasmissioni Uno Mattina (Rai Uno) e Studio24 (Rai News 24). VelvetMag lo ha incontrato per discutere su “I No che fanno la decrescita”, nuovo libro in uscita scritto a quattro mani con Alberto Brambilla, giornalista economico del Foglio.
Come è nata in Italia la tendenza ad affermare con forza e da parti contrapposte quelli che lei e Brambilla definite i “no”, i veti, in sostanza, che bloccherebbero la crescita della società e dell’economica nel nostro Paese?
In Italia, soprattutto dopo Tangentopoli e nel solco dell’utopia di Serge Latouche, si è consolidata la tendenza a dire no, che condiziona i politici eletti, o eleggibili, affannati a inseguire gli istantanei umori e i timori dei cittadini. In una parola, la vox populi. Con la conseguenza di prendere, o molte altre volte solo di annunciare, decisioni tattiche di breve termine per capitalizzare consenso, invece di indicare, o magari anche imporre, un indirizzo strategico di lungo periodo.
Quali sono i “no” che più condizionano lo sviluppo dell’economia e della società italiana?
Sono i no alle infrastrutture e all’industria, in primo luogo. Come ad esempio la rivolta contro il gasdotto Tap (Trans adriatic pipeline, ndr.) per soli 8 chilometri in Puglia o le resistenze alla ristrutturazione dell’Ilva di Taranto; i “no” all’alta velocità ferroviaria e al tunnel in Val di Susa; i “no” a prescindere verso l’industria petrolifera. Più in generale i “no” allo sviluppo delle infrastrutture e dell’edilizia. Se in Italia avessimo avuto un corretto sviluppo di queste due componenti della crescita di un Paese credo che gli ultimi dieci anni di crisi economica sarebbero meno pesanti per gli italiani.
Molti cittadini però hanno le loro ragioni per opporsi. Perché dovrebbe essere deprecabile far decidere “il popolo”, concetto oggi così in voga?
La vox populi è un elemento strutturale della politica occidentale e comporta rischi per l’economia e la tenuta stessa dello Stato perché in questo si realizza lo stadio deteriore della democrazia. Quello descritto con la teoria sui cicli politici dallo storico greco Polibio, ovviamente nella versione contemporanea rafforzata dai nuovi media, e cioè l’oclocrazia, da óchlos, moltitudine, e, kratía, potere. Parliamo cioè dell’esercizio del potere delle masse. Che in realtà è presunto perché in pratica neppure potrebbe avvenire, anche se lo si volesse. Uno scenario che porta al caos. E alla necessità dell’arrivo di un “uomo della provvidenza”, il cosiddetto “uomo forte” per rimettere ordine.
Si potrà pur fare qualcosa per uscire da quello che, per come lei lo descrive, appare quasi un circolo vizioso, o no?
Certo. Da un lato occorre che la politica cambi. Vede, oggi i politici, e con loro i partiti che li sostengono, hanno mediamente perduto il contatto col territorio. Un tempo, durante la cosiddetta Prima Repubblica, ciò era invece un elemento fondamentale. Anche, purtroppo, nei suoi eccessi di clientelismo spinto. Adesso invece noi assistiamo a candidati di prestigio di varie forze politiche che pur di essere eletti alle prossime elezioni si fanno blindare in collegi lontani o lontanissimi dalla propria zona di provenienza per il terrore di essere contestati o sconfitti. Occorre invece recuperare il rapporto col territorio. Da un altro lato, però, Brambilla ed io proponiamo nel nostro libro misure ben precise a livello più generale.
Quali proposte concrete avanzate?
Occorre che l’Italia investa ben più dell’attuale 1% del Pil nella formazione. Questo è il primo punto. La Germania investe il triplo rispetto a noi. Bisogna cominciare a dare una formazione autentica a tutti fin dalla scuola primaria, poiché i primi anni di vita di un bambino sono decisivi per la sua età adulta futura. Poi va cambiato e rilanciato con forza il sistema dell’alternanza scuola-lavoro, troppo sottovalutato finora. Infine occorre una rivoluzione copernicana nella burocrazia. La Pubblica amministrazione deve essere percepita, come avviene in altri Paesi europei, come un alleato nelle difficoltà della vita personale e lavorativa. Non come avviene oggi, quasi come un avversario.
Photo credits: Facebook / Stefano Cianciotta