Individuato e neutralizzato a Genova un estremista marocchino pronto a mobilitarsi per la causa dello Stato Islamico. Lo sostengono la Digos di Genova e il Servizio Contrasto dell’Estremismo e del Terrorismo Esterno della Dcpp/Ucigos.
Secondo quanto scrive il sito web del quotidiano genovese Il Secolo XIX, Nabil Benamir, 39 anni, marocchino è stato arrestato per “appartenenza all’organizzazione terroristica dello Stato Islamico (art. 270 bis c.p.)”. L’individuazione di Benamir – da alcuni mesi detenuto nel carcere di Genova per i reati di lesioni dolose e maltrattamenti nei confronti della sua ex compagna – è la risultante del lavoro di una rete investigativa internazionale, nel cui contesto gli uffici antiterrorismo della Polizia di Stato hanno raccordato i contributi dell’Aisi (i servizi segreti), della Polizia olandese, di Europol e dell’Fbi statunitense.
La genesi dell’indagine risale al giugno scorso, quando l’intelligence italiana aveva acquisito informazioni sul Benamir, allora sconosciuto all’Antiterrorismo, quale “esponente di rilievo” dell’Is, ritornato in Europa “con l’obiettivo di addestrare altri membri dello Stato Islamico alla fabbricazione e all’utilizzo di esplosivi”. L’individuazione nel nostro Paese dell’estremista marocchino – fa sapere la Questura, in una nota – è giunta all’inizio del mese di agosto 2017, quando un equipaggio della Volante soccorse a Genova una ragazza incinta, poi rivelatasi la compagna del Benamir, vittima della violenza cieca dello straniero, dopo poco arrestato dalla Polizia.
Il provvedimento della magistratura ligure giunge all’esito dell’analisi della memoria dello smartphone e dei dati a lui riferibili sui social network che hanno corroborato le iniziali acquisizioni di informazioni ed evidenziato l’elevato livello di pericolosità raggiunto da Benamir. Insieme a istruzioni per azionare ordigni esplosivi con vecchi cellulari, uno dei quali in suo possesso, sono stati infatti rinvenuti video di azioni suicide e “testamenti” di attentatori prima di immolarsi, oltre a tracce di comunicazioni effettuate tramite WhatsApp, che lasciano supporre l’esistenza di un “mandato” che l’indagato avrebbe dovuto assolvere in Italia.
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