“Ora la guerra è più vicina”: parole gravissime quelle pronunciate dall’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, durante il consiglio di Sicurezza del 29 novembre dedicato alla Corea del Nord. Ecco perché per gli Stati Uniti
Sempre nella notte italiana, durante un comizio in Missouri, Donald Trump era tornato ad attaccare sul piano personale il dittatore di Pyongyang, Kim Jong-Un, deridendolo e descrivendolo come un “cagnolino malato” o anche “the little rocket man”, il piccolo uomo-missile. Il silenzio del presidente americano dopo l’ennesimo lancio di un missile balistico da parte del regime nordcoreano è durato dunque poche ore.
E ancora una volta le sue parole rischiano di alimentare una guerra di offese e insulti che va avanti da mesi e che non favorisce di certo la realizzazione di quel canale diplomatico che con enorme fatica Rex Tillerson e i vertici del dipartimento di Stato stanno tentando di aprire. Intanto, mentre al Tesoro americano si studiano nuove sanzioni finanziarie e al Pentagono si valuta l’ipotesi di un blocco navale, le Nazioni unite hanno rinviato la decisione di nuove misure punitive verso Pyongyang, con i 15 del consiglio di Sicurezza che per il momento insistono sulla piena e rigorosa attuazione delle sanzioni già prese negli ultimi mesi. Soprattutto da parte della Cina, che resta il più stretto alleato della Corea del Nord.
L’ultimo esperimento missilistico di Pyongyang, che ha dimostrato di avere un “supermissile” in grado di colpire ovunque gli Stati Uniti, “è un’azione che avvicina il mondo alla guerra, non lo allontana – ha tuonato la Haley -. Anche se è un conflitto che gli Usa non cercano – ha aggiunto l’ambasciatrice Usa – e se ci sarà una guerra, il regime nordcoreano sarà completamente distrutto”. Intanto, l’ambasciatore italiano, Sebastiano Cardi, presidente di turno dei 15 e del comitato Sanzioni del consiglio di Sicurezza, ha spiegato come le misure restrittive decise contro la Corea del Nord stiano funzionando, ma che comunque “si può fare di più per farle applicare”.
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