Totò Riina, morto a Parma a 87 anni appena compiuti, è l’immagine più cruda e netta dell’anima nera e stragista della mafia, di cui era ritenuto ancora il capo indiscusso. Stava scontando 26 ergastoli e dal 1993 era recluso al 41 bis. Ma Cosa nostra sta già in queste ore nominando il nuovo capo dei capi. Riproponiamo il video rai dell’arresto del boss il 15 gennaio 1993.
Nato a Corleone, cuore antico e profondo della Sicilia, in una famiglia di contadini il 16 novembre 1930, si legò presto al capomafia Luciano Liggio e a 19 anni fu condannato a una pena a 12 anni, scontata parzialmente nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo. Da fedelissimo di Liggio prese parte alla sanguinosa faida contro gli uomini di Michele Navarra. Nel 1969 avviò la sua lunga latitanza che diede inizio alla sua ascesa, sancita ancora nel sangue, il 10 dicembre, con la “strage di Viale Lazio”, che doveva punire il boss Michele Cavataio. Sempre più influente, sostituì spesso Liggio nel “triumvirato” di cui faceva parte assieme ai boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti.
IL CAPO DELLA CUPOLA
Dal ’74 reggente della cosca di Corleone, sempre più strategica negli assetti di Cosa nostra, scateno’ la seconda guerra di mafia che vide dal maggio 1981 l’uccisione per mano dei boss a lui fedeli, di oltre 200 mafiosi della fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti, mentre molti altri rimasero vittime della cosiddetta lupara bianca. Un vero massacro fino a quando si insediò nel 1982 una nuova “Commissione” di stretta osservanza corleonese, composta da capimandamento fedeli a Riina e da lui guidata.
I LEGAMI CON LA POLITICA
Principale referente politico di Riina inizialmente fu Vito Ciancimino, il quale nel 1976 instaurò un rapporto solido con Salvo Lima. Seguì una serie di omicidi politici: il 9 marzo 1979 Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia cristiana; il 6 gennaio 1980 fu ucciso il presidente della Regione Piersanti Mattarella; il 30 aprile 1982 il leader del Pci siciliano Pio La Torre.
LE STRAGI DEL 1992-1993
Un duro colpo il potere di Riina lo subi’ il 30 gennaio 1992 quando la Cassazione – nonostante i tentativi di cambiarne le sorti – confermò gli ergastoli del Maxiprocesso e sancì l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal pentito Tommaso Buscetta: uno schiaffo al mito dell’impunità di Cosa nostra. Il 12 marzo 1992 Lima venne ucciso: si era alla vigilia delle elezioni politiche e, alcuni mesi dopo, la stessa sorte toccò a Ignazio Salvo. A maggio l’attacco frontale allo Stato. La strage di Capaci nel quale fu ucciso Giovanni Falcone. Cinquantasette giorni dopo toccò a Paolo Borsellino, in via D’Amelio. Nel ’93 le stragi del Continente. Una “catena del tritolo” oggetto di indagini anche da parte della Procura di Firenze, su cui si è fatta maggiore chiarezza dopo depistaggi e silenzi.
LA CATTURA
In questo periodo sarebbe iniziata la presunta trattativa, al centro di un processo il cui primo grado è alle fasi conclusive. Cruciale il ruolo di esponenti dello Stato e Vito Ciancimino. Riina rispose alla richiesta di un accordo con il famoso Papello, finalizzato a ottenere la revisione del maxiprocesso, ad ammorbidire le condizioni dei detenuti, cancellazione della legge sui pentiti. Fu arrestato il 15 gennaio del 1993 dalla squadra speciale dei Ros guidata dal Capitano Ultimo. Mentre restava libero Bernardo Provenzano, il “ragioniere” di Cosa nostra, preso solo l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza.
SONO ANCORA TANTI I MISTERI
Dalle carceri di massima sicurezza Riina ha continuato ad essere un simbolo suggestivo del potere di Cosa nostra, un riferimento concreto per l’organizzazione in difficoltà. Da li’ ha continuato anche al lanciare editti di morte, come – nel novembre 2013 nei confronti del magistrato Nino Di Matteo. Nella tomba il boss si porta tanti misteri, della mafia e non solo. La presenza, a esempio, di eventuali mandati esterni e il coinvolgimento dei servizi segreti rimane al momento solo un’ipotesi investigativa, non provata, ma su cui non si molla la presa. Il procuratore di Caltanissetta Bertone ha avvertito che “ci sono ancora buchi neri”. Il riferimento è anche all’agenda rossa del giudice Borsellino, mai trovata.
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