Rubare le caramelle – un piccolo furto da meno di 10 euro – può costare il posto al dipendente di un supermercato. La Cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa di un addetto al rifornimento degli scaffali trovato a fine turno in possesso di merce che non aveva pagato.
Il giudice – spiega la Suprema Corte – deve valutare in base al “singolo rapporto” se la giusta causa ricorra o meno, e se la sanzione è proporzionata. E in questo caso, ha ritenuto che il comportamento “fraudolento”, anche se non vi erano precedenti, avesse minato in maniera irreversibile il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Il fatto è successo in un supermercato di Napoli nel 2009: all’uscita era scattato l’allarme antitaccheggio, attivato da adesivi invisibili posti sui pacchetti di gomme e caramelle all’insaputa dei dipendenti, ma l’uomo aveva goffamente parlato di un piano contro di lui architettato dal capo della sicurezza, che avrebbe voluto incastrarlo.
Il tribunale, che non aveva riscontrato alcuna prova per tali accuse, aveva confermato il licenziamento, nonostante il dipendente non avesse precedenti disciplinari e i beni sottratti fossero di scarso valore, appena 9 euro e ottanta centesimi. La decisione era stata quindi confermata dalla Corte d’Appello di Napoli. Anche la Cassazione ha condiviso il giudizio di “gravità della condotta contestata e di proporzionalità della sanzione espulsiva”.
Un provvedimento grave come il licenziamento è indipendente dal valore della merce rubata: «La valutazione in ordine alla ricorrenza della giusta causa e al giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva deve essere operata in riferimento alla natura e all’utilità del singolo rapporto». «Il dimostrato carattere fraudolento – scrive la sezione Lavoro nella sentenza n. 24014 – nella specie palesemente doloso e premeditato, della condotta del lavoratore è stato ritenuto sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera grave ed irreversibile sull’elemento fiduciario, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari». L’ex dipendente è stato condannato anche a pagare le spese di giudizio in Cassazione, per oltre 3.500 euro.
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