Carcere e multa a chi evade il canone delle tv a pagamento, come Sky, usando il sistema “card sharing”, che consiste nell’acquistare i codici per vedere i programmi criptati da un soggetto terzo. Il quale, in maniera fraudolenta, funge da “pusher” dei codici e li vende, illecitamente, a più clienti a prezzi più convenienti del canone.
A stabilire la linea dura è la Corte di Cassazione che ha condannato in via definitiva a 4 mesi di reclusione e 2 mila euro di multa un palermitano di 52 anni che guardava Sky nella sua abitazione, tranquillamente disteso sul divano, senza avere la relativa smart card. Gli ermellini, dichiarando “inammissibile” il ricorso dell’imputato, oltre a dargli grattacapi per la fedina penale, lo hanno anche condannato a versare ulteriori 2 mila euro alla Cassa delle ammende.
COSA AVEVA FATTO L’UOMO CONDANNATO
Avvisando i furbetti del telecomando che servirsi dei codici taroccati porta in carcere, la Cassazione sottolinea che il “card sharing” era stato depenalizzato nel 2000 ma ha poi ripreso rilevanza penale nel 2003, tornando a essere un reato in seguito a un decreto legislativo. A farne le spese è stato Filippo I., palermitano classe 1965, condannato “per aver installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete Lan domestica e internet, collegato con apparato Tv e connessione all’impianto satellitare così rendendo visibili i canali televisivi del gruppo Sky Italia in assenza della relativa smart card”.
IL CARD SHARING FRAUDOLENTO
Il verdetto di colpevolezza – emesso dalla Terza sezione penale, sentenza 46443 – ha preso di mira il “sistema del card sharing“. Senza successo l’imputato si è difeso sostenendo di aver acquistato i codici di decodifica dei programmi sul web, per giustificare il fatto che durante la perquisizione a casa sua non “era mai stata rinvenuta la smart card”. Secondo la Cassazione, “correttamente” i giudici palermitani hanno emesso la condanna “evidenziando la finalità fraudolenta del mancato pagamento del canone” Sky. In particolare, la Suprema Corte spiega che il reato commesso consiste nella violazione della legge sul diritto d’autore del 1941 – art. 171 octies l.633/1941 – che nel caso affrontato dal verdetto è “pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso poste in essere da parte dell’emittente”.
Photo credits: Twitter, Facebook
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