Dopo l’esito dell’autopsia sul corpo di Emanuele Morganti, gli inquirenti stanno ricostruendo, con maggiori elementi, cosa è successo al giovane pestato a morte ad Alatri. Si dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio degli indagati o una proroga.
Una ricostruzione sempre più dettagliata, fondata su testimonianze e riscontri sul corpo di Emanuele Morganti, il 20enne pestato a morte fuori dalla discoteca Mirò Music Club di Alatri, la notte tra il 24 e il 25 marzo 2017. L’esito dell’autopsia ha lasciato aperte due vie per le indagini ed una sola certezza: Emanuele è deceduto a causa di una gravissima emorragia cerebrale, riportando una frattura ossea del cranio causata da un urto violento del capo contro un ostacolo fisso e rigido. Potrebbe trattarsi della forte botta contro l’auto Skoda su cui Emanuele si è accasciato a causa dell’ultimo colpo ricevuto. Non si esclude però che il colpo mortale possa essere stato inferto con un’arma, un bastone o un manganello, sferrato con violenza sulla testa del 20enne. Proprio questa è la chiave del problema. Nel primo caso si rischia di dover contestare l’omicidio preterintenzionale, cosa su cui probabilmente faranno leva le difese degli indagati. Con i risultati dei Ris in mano la Procura potrà avere il quadro definitivo. A quel punto, come riporta Ciociaria Oggi, si potrà decidere se chiudere l’indagine e sostenere l’accusa di omicidio, chiedendo il rinvio a giudizio degli indagati, oppure chiedere una proroga.
Emanuele Morganti, quella tragica sera, era in compagnia della fidanzata e di due amici. Voleva trascorrere una serata in allegria, ma di lì a poco tutto si è trasformato in una tragedia. Un diverbio con un altro cliente del locale degenera. La sicurezza separa i due e porta Emanuele fuori dalla discoteca. Ed è proprio nella piazza di Alatri che il ventenne viene picchiato selvaggiamente da più persone, che addirittura lo inseguono. Alla fine, non riuscendo a sottrarsi all’aggressione, stramazza al suolo dopo aver sbattuto la testa contro la Skoda, in sosta in piazza Regina Margherita. Le sue condizioni sono critiche. Trasportato all’Umberto I di Roma i medici provano a tenere Emanuele in vita, ma è tutto inutile. Il giovane muore il 26 marzo alle ore 20. Nel frattempo viene avviata un’indagine e con la morte di Emanuele Morganti l’accusa, per coloro che verranno indagati, è di omicidio. Grazie a molte testimonianze vengono arrestati, nella notte tra il 27 e il 28 marzo, Mario Castagnacci e Paolo Palmisani. I due si erano allontanati da Alatri recandosi a Roma in casa di una zia. Da quel giorno sono in carcere con l’accusa di omicidio volontario. Contemporaneamente le indagini continuano e, grazie alle testimonianze e alla caparbietà del procuratore Giuseppe De Falco e dai sostituti Vittorio Misiti e Adolfo Coletta, la lista degli indagati si allunga. Le indagini e i riscontri nella piazza di Alatri portano ad un terzo arresto, quello di Michel Fortuna. Inizialmente si indaga per rissa e vengono individuate 5 persone, tra cui il padre di Castagnacci, Franco. Ora però sono tutti indagati per omicidio volontario.
Per il momento l’orientamento dei legali difensivi è quello di scegliere, quando si presenterà il momento, il giudizio ordinario con l’intento di puntare sull’omicidio preterintenzionale. A supportare la pubblica accusa ci sarà anche la parte civile, con l’avvocato Enrico Pavia che rappresenta gli interessi della famiglia Morganti. Nel dibattimento avranno un forte peso le testimonianze dei presenti fuori il Mirò Music Club nella tragica sera in cui Emanuele Morganti perse la vita.
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