Cresce in Italia e si esprime massicciamente sui social media l’indignazione per la decisione del Governo Gentiloni, comunicata dal ministro degli Esteri Alfano e presa alla chetichella, alla vigilia di Ferragosto, di riallacciare piene relazioni diplomatiche con l’Egitto del dittatore Al Sisi rimandando al Cairo il nostro ambasciatore “alla luce degli sviluppi registrati sull’omicidio di Giulio Regeni”.
L’8 aprile 2016 l’allora Capo Missione Maurizio Massari venne richiamato a Roma “per consultazioni”: una forma di protesta e pressione dell’Italia sull’Egitto perché si arrivasse alla verità sull’omicidio efferato del nostro connazionale friulano sequestrato, brutalmente torturato, ucciso e fatto ritrovare cadavere in mezzo a una strada fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016.
“È UNA RESA CONFEZIONATA AD ARTE”
Adesso, a Ferragosto, il nuovo ambasciatore Giampaolo Cantini fa le valigie e parte alla volta del Cairo. Di ieri un durissimo comunicato della famiglia di Giulio Regeni, diffuso sui social media: “La famiglia Regeni esprime la sua indignazione per le modalità, la tempistica ed il contenuto della decisione del Governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo – è scritto nella nota -. Ad oggi, dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio”. Per il genitori del 28enne massacrato “la decisione di rimandare ora, nell’obnubilamento di ferragosto l’ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte“.
“IL POPOLO DI GIULIO È DALLA NOSTRA PARTE”
“Sappiamo che il popolo Giallo di Giulio, le migliaia di persone che hanno a cuore la sua tragedia e la dignità di questo paese, sapranno stare dalla nostra parte, dalla parte di tutti i Giuli e le Giulie del mondo e non si faranno confondere – scrivono ancora i genitori e i familiari di Regeni -. Solo quando avremo la verità sul perché e chi ha ucciso Giulio, quando ci verranno consegnati i suoi torturatori e tutti i loro complici, solo allora l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità”.
THARWAT, 19 ANNI, “IL REGENI EGIZIANO”
Nelle scorse settimane è sorto in Egitto – e le drammatiche fotografie che pubblichiamo in alto sono state fatte circolare sui social media – il caso di un ragazzo di appena 19 anni, Tharwat Sameh, già rinominato “Il Giulio Regeni dell’Egitto”. Il suo cadavere martoriato è stato ritrovato lo scorso 24 luglio sulla Desert Road del Fayoum, a circa 130 chilometri a sud-ovest del Cairo. Sul suo corpo segni di violente percosse, tagli, ustioni e tracce di scosse elettriche. Da due giorni era scomparso dalla sua abitazione, nel quartiere 6 Ottobre, zona periferica della Capitale. I suoi familiari ne avevano perso le tracce, fin quando una telefonata anonima non ha annunciato ai suoi genitori che il ragazzo era stato vittima di un incidente stradale e per questo era stato ricoverato presso l’ospedale di Fayoum. Era una notizia falsa, esattamente come il primo tentativo di depistaggio per la morte di Regeni, perché ben presto hanno cominciato a circolare in rete le immagini del giovane senza vita e coperto di lividi. Lo ha fatto prima di tutti l’attivista socialista Kamal Khalil, ma sono stati in tanti ad aver postato sui social network le foto del cadavere del 19enne, associando la sua morte a quella del ricercatore italiano.
LE COINCIDENZE CON LA MORTE DI GIULIO
Come ha sottolineato anche la stampa locale, le coincidenze tra i due omicidi non sono poche. Prima di tutto, il caso dell’egiziano è venuto fuori nel giorno in cui ricorreva il 18° mese dalla scomparsa al Cairo di Regeni. Ma soprattutto, come riferisce l’agenzia di stampa Nova, il direttore della sicurezza del governatorato di Fayoum, luogo in cui è stato ritrovato il cadavere di Tharwat, è Khaled Shalab, cioè lo stesso funzionario che tentò di insabbiare le indagini su Giulio, parlando anche in quel caso di incidente stradale, prima di essere smentito dall’autopsia, e che, secondo alcune ricostruzioni, ne ordinò anche il sequestro. Per altro, lui stesso già nel 2003 fu condannato per tortura.
Per le immagini del corpo straziato di Tharwat Sameh photo credits: Twitter / Hatim Hegab, PhD @HatimNY