Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, non si da pace e nella notte insonne in cella scrive una lettera. I legali non si arrendono ed iniziano a pensare ad una nuova strategia per la difesa in Cassazione.
Una notte insonne quella trascorsa per Massimo Giuseppe Bossetti dopo la sentenza, attesa per ben 15 ore nella cella sotterranea del Tribunale di Brescia lunedì, 17 luglio 2017. Nelle ore notturne il muratore di Mapello, accusato e condannato all’ergastolo per il delitto di Yara Gambirasio, ha deciso di scrivere una lettera. Ne ha scritte molte di epistole da quando è stato arrestato questa, però, è la lettera di un uomo che per la seconda volta ha ascoltato la propria condanna. Da sempre ha urlato la sua innocenza e ancora oggi sostiene la sua verità. La Corte non ha creduto alla tesi dei suoi avvocati, che dovranno attendere 90 giorni prima di capire le motivazioni che hanno portato la Corte d’Appello a confermare la condanna di primo grado.
“Sono profondamente deluso, sconfortato, distrutto dal dolore, stanco nel farmi capire e non essere per niente capito, né ascoltato per come realmente sono”, scrive Massimo Bossetti nella cella del carcere nel quale è detenuto. “Soffro nel vedere attraverso gli occhi di mia moglie, i miei figli, mia mamma, mia sorella, troppa sofferenza ingiusta” e continua sostenendo di far provare dolore: “fino al punto di essere ormai un peso per tutti quanti. Mi chiedo ora che valori abbia ancora la mia vita, se non mi viene concessa nessuna possibilità nel difendermi”, riferendosi alla perizia sul Dna ancora una volta negata. Bossetti continua a sostenere la propria innocenza e scrive: “Vorrei poter credere ancora nella giustizia, ma dopo tutto quello che sto vivendo, nella maniera più disumana possibile, ho seri dubbi nel ripensarlo…”. Non intende mollare e nonostante la notte dopo la sentenza, nella quale ha pianto, il giorno dopo a coloro che lo hanno incontrato, con gli occhi gonfi, ha sostenuto ancora una volta ciò che ha scritto nella lettera: “Non demordo e per niente desisto, primo perché ormai la mia innocenza è diventata una ragione di vita e secondo, vivo per l’amore della mia famiglia”.
Massimo Bossetti, per la sua sicurezza, è sorvegliato a vista ma ciò non lo fa stare tranquillo e agli agenti ha assicurato che non commetterà sciocchezze: “È il vostro lavoro, capisco, almeno non trasferitemi”. La paura più grande per il muratore di Mapello e proprio questa, perché significherebbe mettere chilometri tra lui, la moglie e i figli. Claudio Salvagni, uno dei legali di Bossetti, dopo il primo colloquio successivo alla sentenza, come riporta Il Corriere della Sera, ha dichiarato: “Così provato non l’ho mai visto. È disperato, non si capacita della perizia sul Dna negata”. L’avvocato non molla e afferma: “Andremo avanti, diremo al mondo che cosa è successo, sto pensando a un convegno con i migliori genetisti internazionali. Si condanna un uomo sulla base di un Dna non perfetto, di fibre e sfere. È una battaglia di civiltà, non solo per lui, per tutti. Se la sentenza verrà confermata, getterò la toga”. Massimo Bossetti ha inoltre scritto una lettera indirizzata ai genitori di Yara, la quale però non è ancora giunta a destinazione: l’avvocato la custodirà fino alla Cassazione.
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