La “cardiopatia” di cui soffre Totò Riina lo “espone costantemente” al “rischio di una morte improvvisa”. Lo dice la relazione dell’ospedale di Parma dove il vecchio boss mafioso, capo dei capi di Cosa Nostra, si trova in regime di detentivo dal 25 gennaio 2016. Tuttavia, aggiunge la relazione, “è vigile”. E per i giudici “può stare in giudizio”
La relazione è firmata dal primario, Michele Riva, e depositata nel processo che a Milano vede imputato Riina per minacce nei confronti del direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano. Ma per i giudici della sesta sezione penale “ha la piena capacità di intendere e di volere” e, dunque, può partecipare al processo e “stare in giudizio”. Questo perché, nonostante le condizioni fisiche siano precarie, i medici lo descrivono, comunque, “vigile e collaborante“.
IL DIFENSORE DEL BOSS
Il 27 giugno scorso i magistrati avevano sospeso il processo accogliendo l’istanza della difesa. Erano state acquisite le cartelle cliniche e la relazione sanitaria sullo stato di salute del boss. “Riina – spiegava in quei giorni il suo legale, Luca Cianferoni – non è incapace psichicamente ma è in una situazione di progressivo e rapido decadimento fisico dovuto alle sue varie patologie”. Sulle condizioni di salute, in particolare, Cianferoni aggiungeva: “Riina ormai non riesce a parlare e quando lo fa è quasi impossibile capire ciò che dice. In una delle ultime udienze a cui ha preso parte non è stato neppure in grado di reggere la cornetta con cui era collegato”.
“È VIGILE, MALGRADO TUTTO”
Tuttavia, “allo stato attuale – scrive ancora Riva – il degente è vigile e collaborante, discretamente orientato nel tempo e nello spazio“. Ed è questa la parte della relazione che il collegio della sesta sezione ha valorizzato per valutare la capacità dell’imputato di stare in giudizio, ossia di comprendere di essere sottoposto a un processo penale. Nell’ordinanza, infatti, il presidente Raffaele Martorelli ha chiarito che ciò che andava valutato nel processo era, appunto, la capacità processuale e non questioni sulle condizioni di salute e sul regime detentivo (il boss è in regime di 41bis). Di questo aspetto si sta occupando il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, dopo che la Cassazione ha affermato “l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” e ha stabilito che la Sorveglianza aveva omesso di considerare “il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”.
“QUINDI PUO’ STARE NEL PROCESSO”
I giudici milanesi, dunque, dovevano valutare la “condizione psichica” del capo di Cosa Nostra e basandosi sulla relazione medica, ritenuta “esaustiva” (non c’è bisogno di altre acquisizioni o di una perizia), hanno accertato la sua capacità di intendere e volere e di stare nel processo malgrado la “età avanzata” e le “patologie”. Per i giudici, in sostanza, Riina “comprende” ciò che succede e i processi a suo carico, mentre i difensori avevano fatto notare che oggi aveva rinunciato a essere collegato in videoconferenza per l’udienza “perché firma le dichiarazioni senza comprenderle”. Il processo proseguirà il 17 ottobre con l’audizione del direttore del carcere di Opera, parte civile.
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