Abbiamo intervistato in esclusiva Giuseppe ‘Peppino’ Di Stefano, ex arbitro internazionale di tennis e uno degli istruttori italiani più apprezzati al mondo (la sua scuola tennis a Capri è una delle più attive in Campania). Ha diretto finali in Coppa Davis ed è stato arbitro a Wimbledon, al Roland Garros, negli Stati Uniti d’America e in Australia, arbitrando gli incontri di fuoriclasse della ‘racchetta’ come Borg, McEnroe e Panatta.
Giuseppe Di Stefano, per tutti ‘Peppino’, è uno dei monumenti del tennis italiano. Ex arbitro internazionale di tennis, ha diretto finali in Coppa Davis e arbitrato gli incontri di fuoriclasse della ‘racchetta’ come Borg, McEnroe e Panatta a Wimbledon, al Roland Garros, negli USA e in Australia. A marzo, Capri ha celebrato i suoi 70 anni con una grande festa. La sua scuola tennis caprese è una delle più attive in Campania e, ancora oggi, lui è uno degli istruttori italiani più apprezzati al mondo. Lo abbiamo contattato telefonicamente per un’intervista esclusiva…
Il torneo di Wimbledon è in corso proprio in questi giorni. Lei ha arbitrato in diversi tornei importanti. Qual è il suo preferito?
“Il Roland Garros mi ha sempre affascinato molto di più di Wimbledon, che resta comunque un torneo eccezionale. La prima volta che sono salito sulla sedia al campo centrale del Roland Garros, nel 1978-79 per una partita di Borg, pur essendo abituato ad un folto pubblico avendo già arbitrato in Coppa Davis e in altre competizioni importanti, ricordo che davanti a 25mila persone in piedi e a tutte le postazioni tv mi tremarono le gambe. E io non sono mai stato una persona emozionabile”.
Signor Di Stefano, lei ha arbitrato diversi campioni. Il migliore di tutti?
“Io Borg l’ho arbitrato diverse volte, anche recentemente nei Senior Tour. Con lui ho sempre avuto un bellissimo rapporto. Ricordo in particolare una finale al Torneo di Bologna, Borg contro Sandy Mayer; nel punto finale, Borg tracciò un passante sulla riga di corridoio opposto alla mia sedia ed il giudice di linea mi chiamò la palla buona. Gioco, partita, incontro. Lo stesso Borg, che aveva vinto, si fermò subito in mezzo al campo e mi disse: ‘Peppino, the ball is out’. Per due-tre volte! (ride, n.d.r.) Fu poi lo stesso Mayer a dirgli che non c’erano problemi e che era giusto finire in quel momento il match. Un’altra volta, in occasione di un’esibizione a Napoli al Palazzo dello Sport che ora è purtroppo in condizioni disastrate, Borg mi aspettò in hotel per stringermi la mano perché in campo non aveva potuto farlo, dal momento a che a fine match la sicurezza lo aveva portato in fretta via dalle persone che avevano invaso il campo. Veramente una persona di altri tempi! Lui non si arrabbiava mai, ti guardava con una faccia forse anche peggiore che se si fosse arrabbiato (ride, n.d.r.)”.
Facciamo un salto ai giorni nostri. Come è cambiato il tennis oggi?
“Fino agli anni Ottanta non c’era un codice di comportamento e non era semplice tenere in campo alcuni personaggi. Io ci riuscivo conoscendo bene il gioco del tennis e avendo una buona personalità, ma non era semplice. Col codice di comportamento, personaggi come Connors e McEnroe se la sono vista nera. Ma loro erano personaggi di grande personalità! Oggi i tennisti mi sembrano più automi, dei ‘mostri’ che tirano pallate di qua e di là”.
Un giudizio sulla scena italiana?
“Fognini lo conosco molto bene, viene spesso qua a Capri. Un giorno, ci siamo ritrovati io e lui in mezzo al campo a parlare, sembrava quasi una confessione! (ride, n.d.r.) Lui mi chiedeva alcune informazioni sul comportamento di McEnroe e io gli ho spiegato che McEnroe faceva finta di arrabbiarsi per far perdere concentrazione all’avversario. Invece Fabio si arrabbia davvero e la concentrazione la perde lui. Fognini, se avesse avuto la testa più fredda come ad esempio l’altoatesino Seppi, si sarebbe mantenuto già da parecchio e a lungo tra i primi 4-5 del mondo perché è veramente forte”.
Ci sono dei giovani tennisti italiani particolarmente interessanti?
“Ci sono alcuni ragazzi che stanno facendo bene, ma oggi in Italia c’è la ‘mangiatoia bassa’. Hanno tutto quello che vogliono, hanno i soldi e quindi non hanno quella sofferenza da immagazzinare e mettere poi in partita. Quinzi è bravo, l’ho visto giocare bene anche recentemente a Marrakech. Dopo la sua vittoria al torneo di Wimbledon, però, ho visto una sua intervista in cui si è mostrato a torso nudo per mezz’ora. Nel tennis non esiste una cosa del genere, prima c’era molta più deontologia. Ora ci sono i regolamenti, il ‘falco’, gli arbitri professionisti ma manca un po’ di deontologia. Il tennis è uno sport che si diversifica da altri dove si bestemmia e ci si comporta male”.
La domanda delle domande: Peppino Di Stefano chi preferisce tra Nadal o Federer?
“Federer è un tennista che si avvicina molto di più al passato come comportamento e come tecnica di gioco. Vederlo giocare è una delle cose più belle che possano esistere perché gli riescono cose difficili con estrema facilità. E poi è una brava persona. L’ho arbitrato poche volte perché quando è esploso lui io stavo iniziando a smettere. Anche Nadal è un bravissimo ragazzo, si impegna moltissimo ma come gioco di tennis Federer si fa preferire perché le cose che fa lo svizzero, lo spagnolo non le fa. Io, a Nadal, l’ho conosciuto quando aveva 17 anni. Era al torneo di Palermo e il suo allenatore mi chiamò per farmelo vedere. Finita la partita, gli dissi: ‘Tu diventerai molto forte, ma impara l’inglese’. E lui mi rispose, e continuò a ripeterlo per un po’ di tempo: ‘No Peppino, inglese para nada’. Poi ha dovuto impararlo! (ride, n.d.r.). Nadal è una persona squisita, eccezionale”.
Un pronostico ‘firmato’ Di Stefano per la vittoria finale a Wimbledon?
“Io, da ex arbitro, non ho mai fatto il tifo per nessuno e a tal proposito voglio raccontare un aneddoto divertente. Un giorno mi trovato in piazza a Capri con Adriano Panatta, Peppino Di Capri e altre persone. Adriano, ad un certo punto, si è alzato e ha esclamato: ‘Ahò, lo vedete questo? Mi ha arbitrato 100 partite e mi avesse mai regalato un punto!’. E io gli ho risposto: “Adriano, questa è la ragione per cui siamo rimasti amici” (ride, n.d.r.). Detto questo, per quanto riguarda Wimbledon, non mi dispiacerebbe che vincesse Federer”.
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