Lino Volpe, artista poliedrico e multiforme, è autore e interprete di un repertorio che lo lega a doppio filo al Teatro/Canzone, sempre in bilico tra un presente dal quale difenderci e un passato da cui trarre insegnamenti e segnali per il futuro. I suoi spettacoli sono sviluppati quasi sempre sotto forma di monologo, scritti e recitati in italiano, ma con libero ricorso alla lingua napoletana, dalla quale prende in prestito, espressioni, frasi onomatopeiche, o semplici parole, che utilizza per colorire o sottolineare alcuni passaggi dei suoi testi. Napoli e i napoletani, sono un tema ricorrente nei suoi spettacoli, la sua città è spesso usata come unità di misura per stabilire distanze, assonanze e assenze. I napoletani dei suoi scritti sono eroi minori, sempre alle prese con sotterfugi, e stratagemmi, per rovesciare un destino che sembra già segnato. Da anni rilegge e reinterpreta il grande repertorio della canzone classica napoletana, con particolare attenzione al repertorio di E.A. Mario e Raffaele Viviani, raccogliendo consensi sia in teatro che dal pubblico della rete, che ha accolto con migliaia di visualizzazioni e commenti favorevoli, il suo lavoro. Nel corso della sua carriera si è esibito in prestigiosi teatri in tutta Italia. In questa intervista esclusiva si racconta a Velvet Mag.
Lei è stato definito “un cantastorie sensibile e visionario”, si riconosce in questa definizione?
Nei miei spettacoli racconto storie, sono racconti divertenti, che hanno quasi sempre come protagonisti persone comuni. Per ogni personaggio del racconto realizzo una indagine. Li analizzo, li scruto, sino a determinarne voce, suoni e atteggiamenti, ma ancora prima li colloco temporalmente in una determinata cornice storica, attraverso la quale continuo, quasi in segreto, il mio lavoro di perlustrazione su Napoli.
Quali sono state le tappe salienti del Suo percorso artistico?
Nel corso degli anni ho avuto modo di sperimentare diversi linguaggi, i quali sono confluiti lentamente nel mio vero amore che è il teatro. Nei miei spettacoli ci sono gli echi dei radio drammi che ho ascoltato da ragazzo, cerco sempre di tenere a mente la lezione meravigliosa di alcuni sceneggiati trasmessi negli anni settanta, senza mai dimenticare anche i frizzi e i lazzi della tradizione popolare.
Le sue fonti di ispirazione?
Mio padre è stato ed è la mia più grande fonte di ispirazione, da lui ho imparato tutto, mi ha trasmesso la passione per Napoli, per il teatro e per la musica. Era un uomo semplice, un grande narratore, un affabulatore nato, con lui ho scoperto l’arte del racconto.
Cos’è il teatro canzone?
È la possibilità di narrare una storia, con parole e musica, per un napoletano è poi la fortuna di intrecciare un testo teatrale con un patrimonio di canzoni e di musica straordinario. Le canzoni nei miei spettacoli completano il copione, ne sottolineano dei passaggi o alleggeriscono dei momenti della narrazione.
Per Lei conta più la tradizione o l’innovazione?
Sono due facce della stessa medaglia, non si può innovare senza conoscere il passato.
Cos’è il passato e cos’è il futuro per Lino Volpe?
Sono la necessità innata che abbiamo di sopravvivere, ci spingiamo ostinatamente verso il futuro, mentre il passato ci richiama a se, ci tormenta, ci fa gioire, ci rassicura e qualche volta redarguisce. Ogni giorno nel presente danziamo in equilibrio precario, senza mai poter poggiare entrambi i piedi a terra.
L’ultimo spettacolo è “Il verso del Cammello”, a cosa allude questo titolo?
Devo di nuovo tirare in ballo mio padre. Molti anni fa, prima di Internet, avere delle informazioni era cosa molto più complicata, mio padre era un gran burlone, si divertiva a fare quiz e indovinelli, un giorno mi chiese se io sapevo come si chiamava il verso del cammello, gli risposi di no. Lui mi aspettava al varco, sapeva che la mia prossima mossa sarebbe stata quella di chiederlo a lui, e così feci. Non me lo disse mai, restò un segreto, ma mi disse: “Il vero problema non è sapere come si chiama il verso del cammello ma chiederselo e sapere di non saperlo”.
Come può essere letto il teatro napoletano in chiave contemporanea?
Napoli ha una tradizione teatrale di primo piano a livello mondiale, quindi bisogna fare attenzione, lavorare con coscienza, umiltà e tanta disciplina.
I suoi testi spesso sono ironici e talvolta finanche dissacranti, una sorta di provocazione buona per scuotere le coscienze?
Amo sentire il pubblico ridere, è bellissimo, ma ne amo anche il silenzio assoluto, quell’ alchimia che si crea in determinati momenti di certi spettacoli. I sospiri del pubblico sono gli applausi più belli da condividere.
Il messaggio che cerca di veicolare attraverso i Suoi spettacoli?
Il valore della parola e di quando si dà una parola.
Progetti futuri?
Sto lavorando a un nuovo spettacolo al quale tengo molto, ci vorrà il tempo che ci vorrà e quando sarà pronto spero di esserlo anche io per rappresentarlo al meglio.
Photo Credits: Press Office Lino Volpe
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