Mercoledì 29 marzo è la data fissata per l’avvio delle procedure di uscita dai Trattati europei. La Brexit comincia a concretizzarsi ma ci vorranno 2 anni di negoziati. E si fanno i conti. I 27 Stati della Ue dovranno accollarsi i contributi britannici che verranno meno. Per l’Italia si parla di oltre un miliardo di euro
È attesa a Bruxelles per le 13.30 di oggi mercoledì 29 marzo la lettera con la quale la premier britannica Theresa May dà il via formale alla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Partirà da quel momento una sorta di lungo conto alla rovescia di due anni per il negoziato di divorzio della Gran Bretagna dall’Ue. La missiva è stata inviata al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk per invocare l’art. 50 del Trattato di Lisbona: “Uno dei momenti più importanti nella recente storia del Regno Unito”, ha commentato la May. “Dobbiamo cogliere questa storica opportunità – ha proseguito il premier britannico – per emergere nel mondo e plasmare un sempre maggiore ruolo per una Gran Bretagna globale”.
TRATTATIVA O HARD BREXIT?
Da Bruxelles intanto la Commissione europea è tornata a ribadire che la Ue e il suo capo negoziatore, Michel Barnier, sono “pronti” al negoziato e che “dopo Roma non c’è ragione per essere preoccupati sul futuro dell’Europa“. Ma la trattativa si presenta comunque difficilissima. Mentre Theresa May insiste che l’obiettivo è quello di costruire una “relazione profonda e speciale”, crescono i segnali che potrebbe precipitare in una ‘hard Brexit’, l’uscita senza accordo.
“LONDRA APERTA ALL’EUROPA”
Il sindaco della Londra che aveva votato per il “Remain“, il popolare Sadiq Khan europeista successore di Boris Johnson, da Bruxelles ha lanciato il messaggio d’amore per la Ue: “Londra è e resterà aperta all’Europa e alla Ue”, ma ha anche messo in guardia contro la tentazione di “punire” il Regno Unito nella logica del “colpire uno per educarne cento” che traspare ad esempio dalle parole del capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber. Khan ha anche avvertito che gli europei non si devono fare illusioni. Se scatterà il fuggi-fuggi dei banchieri dalla City per la Brexit disordinata, a beneficiarne“, ha sostenuto, “non saranno Parigi, Francoforte, Madrid o Dublino” ma “New York, Singapore e Hong Kong“.
I MERCATI
La vera paura, come rilevato dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, è quella di uno stallo nella trattativa che metterebbe ” rischio la stabilità dei mercati finanziari”. Il nodo principale è quello dell’accesso al mercato unico. Sul quale gli europei sono stati finora compatti: impossibile concederlo se Londra non accetta le “4 libertà indivisibili”, che comprendono quella di circolazione dei lavoratori, rigettata dal referendum.
IL CONTO DA PAGARE
Poi c’è la questione del conto che Londra dovrebbe pagare per saldare tutti gli impegni presi nel bilancio pluriennale della Ue fino al 2020, per programmi che si concluderanno nel 2023. Una stima ufficiosa è di 58-60 miliardi che Londra non si sogna neppure di accettare. In più ci sono i maggiori costi per i contributi nazionali che i 27 dovranno accollarsi: nel solo 2019, secondo stime spagnole pubblicate dalla Stampa, +4,24 miliardi per la Germania, +1,78 miliardi per la Francia e più 1,3 miliardi per l’Italia.
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