Arriva la parola fine per la ragazza che si è suicidata perchè vittima di abusi sessuali. L’udienza è stata fissata in tempo utile per evitare la caduta in prescrizione dell’accuse e la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale dell’uomo, condannato a 3 anni e 6 mesi.
Dopo ben 17 anni dall’inizio dei fatti si è chiuso in Cassazione un processo per abusi sessusali, avvenuti a Torino, su una ragazzina. I giudici hanno respinto l’ultimo ricorso dell’imputato, un peruviano, confermando la condanna a 3 anni e 6 mesi. La sentenza è arrivata 20 giorni prima di cadere in prescrizione, rischiando che venisse mandata a monte l’intera indagine di abusi da parte del patrigno. Una vicenda che aveva già avuto una conclusione tragica quando la piccola, diventata nel frattempo adolescente, si era suicidata nel 2006, poco prima della sentenza di primo grado.
Aveva solo 5 anni la prima volta che subì attenzioni morbose da parte del cugino quindicenne, durate per 6 lunghi anni. Nel 2000, la madre le disse di raggiungerla in Italia, dove aveva trovato un lavoro e una casa. La ragazzina si era messa in viaggio dal Perù, sperando di essersi lasciata per sempre alle spalle tutti gli incubi del passato. Non immaginava che per lei sarebbe cominciato un calvario ancora più grande. A Torino è il suo patrigno, oggi 50enne, a rivolgerle le stesse attenzioni morbose che le aveva indirizzato in passato il cugino. Per lei sono altri tre anni d’inferno, fino a quando nel 2003 non decide di raccontare ogni cosa. Sbattuta fuori di casa, viene accolta in una comunità. Ma si suicida nel 2006 lanciandosi dalla finestra di un condominio, prima ancora che il tribunale di Torino riesca a pronunciare la sentenza di primo grado.
Il patrigno stesso, quando la vicenda venne alla luce, si presentò in Procura per ammettere gli episodi. La prima sentenza d’appello arrivò nel luglio del 2014. Nel 2015 la Cassazione certificò che alcuni episodi erano ormai prescritti e ordinò un nuovo processo d’appello, che venne celebrato nel maggio del 2016, per il ricalcolo della pena. Il 30 maggio del 2016, dieci anni dopo la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Torino emette nei confronti dell’uomo il verdetto di condanna a 3 anni e sei mesi. La sentenza dei giudici torinesi arriva solo venti giorni prima che il procedimento penale si prescriva. L’8 maggio del 2017 è stata scritta la parola fine. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale dell’uomo, l’avvocato Domenica Peila. Rinviare gli atti a Torino per una nuovo processo avrebbe significato mettere una pietra tombale sulla vicenda e decretare la prescrizione. Per evitare la pena, tuttavia, l’uomo è tornato in patria e difficilmente rientrerà in Italia con il rischio di essere arrestato.
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