La direzione del Partito democratico dopo l’assemblea della rottura. Manca il segretario Matteo Renzi che preferisce un viaggio negli Usa. Manca Bersani e buona parte della minoranza. E Michele Emiliano, propenso alla scissione, resta invece nel partito per sfidare il segretario dimissionario
Sempre più impervia la strada del Partito democratico, alle prese ormai con una scissione di fatto, sebbene non ancora formalizzata. Tira dritto il segretario Matteo Renzi che non partecipa alla direzione del Pd programmata per oggi 21 febbraio: è partito per gli Stati Uniti. Intanto Michele Emiliano, che si era schierato nei giorni scorsi tra i sostenitori della scissione, fa sapere che resterà nel partito. Emiliano vuole sfidare Renzi al congresso. Una scelta criticata dai fedelissimi di Pierluigi Bersani che, invece, sono ormai fuori.
BERSANI E SPERANZA
E con Bersani anche Roberto Speranza e i parlamentari della loro area non cambiano idea: non parteciperanno alla direzione di oggi e al congresso del Pd, di cui non condividono le modalità. Di fatto, a quanto si apprende, in questo modo sono fuori dal partito e dissentono dalla scelta di Michele Emiliano di sfidare Renzi alle primarie. È una scelta personale, sottolineano.
MATTEO RENZI PARLA DAL BLOG
“Se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità – è invece il messaggio del segretario dimissionario Matteo Renzi – questa scelta ci addolora, ma la nostra parola d’ordine rimane quella: venite, non andatevene. Tuttavia è bene essere chiari: non possiamo bloccare ancora la discussione del partito e soprattutto del Paese. È tempo di rimettersi in cammino”. “Mentre gli organismi statutari decidono le regole del Congresso, io sono in partenza per qualche giorno per gli Stati Uniti. Vi racconterò sul blog.matteorenzi.it il mio diario di bordo dalla California dove incontreremo alcune realtà molto interessanti. Priorità: imparare da chi è più bravo come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia, nel mondo del digitale, nel mondo dell’innovazione”.
ENRICO LETTA E IL “CUPIO DISSOLVI”
In questi giorni contro l’ipotesi di una scissione che distrugga il partito sono arrivati gli appelli di Enrico Letta e del padre nobile del centrosinistra, Romano Prodi. “Guardo attonito al cupio dissolvi del Pd. Non può, non deve finire così”, ha scritto Letta su Facebook, rompendo un lungo silenzio sulle questioni del partito. Non cita Renzi, ma appare chiaro che si riferisce a lui quando invoca che “generosità e ragionevolezza” prevalgano su “logiche di potere”. Perché ricorda che proprio tre anni fa fu costretto a lasciare Palazzo Chigi con “sgomento solitario”: “Oggi sento la stessa angoscia collettiva di tanti che si sentono traditi e sperano che non sia vero. Mai avrei pensato 3 anni dopo a una simile parabola”. Un atto di accusa che la maggioranza Pd respinge: “Caro Letta, il Pd non finisce certo qui. La nostra storia è più importante dei nostri leader”, scrive su Twitter Matteo Ricci.
PRIMARIE IN ARRIVO
Per Renzi però la partita è chiusa: le primarie, afferma il vicesegretario Pd Guerini, saranno “ad aprile“. Il segretario vorrebbe il 9 aprile ma se Orlando e Franceschini lo chiederanno si potrebbe arrivare al 7 maggio, non oltre, per chiudere presto la discussione interna e fare la campagna per le amministrative. E il governo? La finestra del voto a giugno è di fatto chiusa e Renzi ha ribadito sostegno a Gentiloni. Ma certo, osservano i renziani, se dopo la scissione la sinistra si mettesse di traverso in Parlamento potrebbe assumersi la responsabilità di far cadere il governo: la linea dell’esecutivo non si farà condizionare dagli “scissionisti”, affermano, se servirà sui singoli provvedimenti sarà messa la fiducia.
Photo credits: Twitter
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