Sabato 18 febbraio 2017, alle ore 21,00 alla Sala del Capitolo del Complesso di San Domenico Maggiore a Napoli “I Sette Vizi Napoletani”. Gianfranco e Massimiliano Gallo insieme in scena con il chitarrista Antonio Maiello e la sua loop station. Una serata all’insegna della grande arte con due grandi nomi del panorama artistico nazionale ed internazionale. Gianfranco Gallo, autore del testo, si racconta in quest’intervista esclusiva.
I sette vizi napoletani sarebbero i sette vizi capitali coniugati col “verbo” partenopeo?
Sono semplicemente il mio sguardo su noi napoletani, un universo di contraddizioni che amo ed odio. Sono l’altra parte delle virtù di questo popolo, prima tra queste l’autoironia che mi consente di scherzarci su. Prendo spunto dai sette vizi capitali ma poi volo di fantasia.
Quali sono esattamente questi vizi napoletani?
La Cazzimma, la Bizzuocaria, la Vittimismeria, la Sfrantummazione, la Maschimeschinità, la Scassoneria e la Camorra. Quasi tutti neologismi in perfetto stile futurista che rendono bene l’idea.
Cos’ è la questione “terridionale” citata nel testo di presentazione dello spettacolo?
È qualcosa di irrisolto, perché il Sud è stato tagliato dal resto del mondo con una precisione chirurgica costante e ora è destinato a galleggiare per centinaia di anni. Spero in una rivoluzione di Unità perché la nostra intelligenza, le nostre capacità, non bastano.
Uno sguardo ironico su una realtà amara?
L’ironia è salvifica, senza ironia non si sopporta alcun tipo di vita destinataci.
In scena con suo fratello Massimiliano, spesso siete uniti nel vostro percorso artistico, è un sodalizio che si consolida sempre di più?
Direi di sì, se non fosse che i nostri successi singoli complicano l’organizzazione delle iniziative in cui siamo in coppia. È un’arma a doppio taglio, da un lato porta una notorietà che va a confluire nell’idea dei Fratelli Gallo, dall’altra rende difficile la gestione dei tempi comuni.
Parlando di voi due è impossibile non pensare ai vostri straordinari genitori e all’eredità artistica del grande Nunzio Gallo. Se dovesse dedicare loro un pensiero oggi, quale sarebbe?
Mio padre mi viene in mente nelle mie risate, nei momenti di gioia, negli abbracci, mia madre invece nei momenti di ragionamento, durante le letture, nelle riflessioni. Tutte cose che amo.
Ne “I Sette Vizi Napoletani” si canta, si recita e si narra, ma Lei si sente più un attore o un cantante?
Io mi sento un artista che si esprime nei modi in cui riesce, a volte cantando, a volte recitando altre volte scrivendo, qualche volta anche dipingendo, dipingendo male, ma non conta.
Lei è autore di molti testi, alcuni ironici, alcuni realistici. Potremmo parlare di un realismo dell’ironia oppure di un’ironia del realismo?
Nel realismo trovi tutto, anche l’ironia, i miei testi non sono mai una sola cosa. Credo che abbiano un loro stile preciso, io porto la realtà sotto una lente deformante ma l’elemento trattato è sempre la realtà.
Qual è il messaggio che cerca di trasmettere attraverso la sua scrittura?
Più che un messaggio, cerco di provocare una suggestione e poi qualche riflessione, i migliori esseri umani sono affetti dalla salutare malattia del Dubbio.
Cos’è il Teatro per Lei?
Il Teatro, la TV, il Cinema sono i luoghi in cui vivo e quando non li frequento devo dire, mio malgrado, che non vivo.
Dopo tante esperienze televisive, il teatro è una sorta di rifugio, un ritorno alle origini oppure cosa?
Per me il Teatro rispetto a Cinema e TV è una casa di legno con le travi a vista e il caminetto, il nascondiglio di quand’ero bambino, la tana in cui ospito i miei amici.
Un messaggio conclusivo?
Io sono napoletano, ma c’è una parte di me più residente dell’altra, quella stanziale mi dice di resistere e di trasformare i vizi in ironia, l’altra mi suggerisce “Fuggi”. Per ora mi trattiene l’ottavo vizio: far finta di non sentire.
Photo Credits: Press Office Gianfranco Gallo