Muslim Ban, i giudici: “Trump non è al di sopra della legge”

L’ordine esecutivo di Donald Trump contro i cittadini provenienti da Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen si è impantanato. L’ultima parola alla Corte Suprema

La guerra giudiziaria fra la magistratura degli Stati Uniti e il presidente Donald Trump continua senza esclusione di colpi. Un giudice di Seattle ha bloccato su base nazionale l’applicazione delle restrizioni all’ingresso negli Usa di cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen. Adesso è tutto fermo e probabilmente a mettere la parola fine sula vicenda sarà una decisione della Corte Suprema.

RICORSI E  BATTAGLIA LEGALE

La sfida al bando imposto da Donald Trump è partita dallo Stato di Washington, cui si è aggiunto il Minnesota. I legali del governo si sono opposti sostenendo l’illegittimità dell’istanza con cui si chiede l’annullamento del decreto firmato dal presidente il 27 gennaio scorso. Ora il giudice di Seattle James Robart ha stabilito che la causa intentata dai due Stati ha fondamento, il che significa che l’efficacia dell’ordine esecutivo di Trump viene sospesa in attesa dell’esito del procedimento, che secondo molti osservatori arriverà appunto fino alla Corte suprema.

LA CASA BIANCA: “DECISIONE SCANDALOSA”

La Casa Bianca ha fatto sapere con una nota diffusa sui social network che il dipartimento di Giustizia intende presentare “al più presto possibile” un ricorso urgente contro la decisione del giudice Robart, che inizialmente è stata definita “scandalosa”, aggettivo poi eliminato. E si è detta determinata alla difesa dell’ordine esecutivo “nella convinzione che sia legale e appropriato”.

IL CAOS NEGLI AEROPORTI

A poco più di una settimana dall’avvio del Muslim Ban – con questa definizione è già passato alla storia il decreto presidenziale anti-immigrati di Trump -, motivato con la necessità di bloccare ogni arrivo da Stati “a rischio terrorismo” (quindi a rischio di “esportare” terroristi in America) il Paese appare spaccato in due: favorevoli e contrari alla messa al bando dei musulmani. La “guerra” era cominciata subito. Dopo poche ore dall’ordine esecutivo presidenziale del 27 gennaio scorso, si era scatenato il caos negli aeroporti, fra proteste, cortei, personale delle dogane incerto sul da farsi di fronte ad arrivi di passeggeri dai 7 Paesi messi al bando, e alcuni Stati federati che avevano alzato la voce.

LA MINISTRA CACCIATA E LE DONAZIONI DI GOOGLE

La giudice federale di New York Ann Donnelly aveva subito emesso un’ordinanza di emergenza per bloccare il Muslim Ban. Pochi giorni dopo era stata licenziata in tronco da Trump la ministra della Giustizia, Sally Yates, reggente, nominata da Obama. Aveva manifestato perplessità sull’ordine esecutivo anti-immigrati. Google e i giganti della Silicon Valley si erano schierati a favore degli immigrati – molti dei loro fondatori e dirigenti sono di origine straniera – con donazioni in denaro e forti prese di posizione pubbliche.

Trenta arresti, protesta americana contro Trump

Photo credits: Twitter

 

 

Gestione cookie