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Cultura e Spettacolo

La civetta come simbolo reinterpretato, tra mitologia ed esoterismo: intervista a Stefania Severi [ESCLUSIVA]

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Redazione

La Casina delle Civette dei Musei di Villa Torlonia a Roma, dal 29 gennaio al 30 aprile 2017 ospiterà “Tre civette sul comò”, una mostra dedicata al magico volatile notturno attraverso un percorso di 67 opere realizzate quasi tutte per l’occasione da artisti provenienti da tutto il mondo. L’esposizione è curata dallo storico e critico d’arte Stefania Severi, che in questa intervista esclusiva si racconta a VelvetMag.

Come nasce l’idea della mostra “Tre civette sul comò”?

Tutto parte dalla circostanza, che fin dai primi anni ‘80, ho iniziato a raccogliere civette. La consapevolezza che fosse una vera e propria collezione e non solo un bel gruppo di piccole compagne la devo all’amica architetto e giornalista Luisa Chiumenti. Luisa, collaboratrice de La Gazzetta dell’Antiquariato, mi chiese se poteva proporre al suo giornale, che in ogni numero dedicava un articolo ai collezionisti, la mia collezione. Le specificai che la mia non era una vera e propria collezione, perché non aveva il benché minimo carattere scientifico. Comunque la redazione approvò e Luisa mi passò un elenco di 45 domande sulla mia collezione. Il bellissimo articolo Civette e Company – un soggetto prediletto in tanti materiali diversi forma l’allegra raccolta di una storica dell’arte uscì nel numero di febbraio del 2016. Nell’articolo raccontavo, tra l’altro, del mio legame con la Casina delle Civette di Villa Torlonia a seguito del progetto Il paesaggio in trasparenza, arte e botanica nella Casina delle Civette, con la Scuola d’Arte e dei Mestieri di Roma Capitale “Scienza e Tecnica”. All’epoca, siamo nel 2012, era nato anche il mio legame di stima e di collaborazione con Maria Grazia Massafra, la direttrice della Casina. Portandole copia della rivista mi sorse spontanea la domanda: ma nella Casina è stata mai allestita una mostra sulle civette? Al suo diniego è seguita d’immediato l’idea di organizzarne una. Io ero destinata a mettere in mostra le mie amiche civette! Con il supporto della Cooperativa Sociale Apriti Sesamo, il progetto, approvato, ha preso forma.

Perché questo titolo?

L’idea era di una mostra seria ma non seriosa, adatta al pubblico più vasto. Il titolo è venuto subito sulla suggestione di Ambarabà ciccì coccò tre civette sul comò, filastrocca alla quale Umberto Eco aveva perfino dedicato un saggio paradossale di semiotica in cui analizzava il testo come fosse una lingua aliena (1992).

Non a caso la mostra è ospitata dalla Casina delle Civette di Roma, si direbbe una scelta voluta?

Certamente, senza Casina non ci sarebbe stata questa mostra, o avrebbe potuto esserci una mostra sulle civette ma sarebbe stata diversa. Intanto non ci sarebbe stata la Mail Art nella forma di “lettere indirizzate alle Civette della Casina”. E non ci sarebbero state alcune opere dedicate alla Casina e alle civette della Villa, a cominciare dall’immagine guida della mostra disegnata dal vignettista Lucio Trojano: una civetta ritta su un comò che dipinge, su una tela posta su un cavalletto, la Casina.

Quali sono gli elementi che ne fanno parte e in che modo interagiscono con l’ambiente in cui si dipana il percorso espositivo?

Volevo un legame con la Casina non solo concettuale ma anche “materiale”, cioè una mostra con tanti materiali già presenti nella Casina: legno, ceramica, bronzo, gesso, tessuto, mosaico, ferro battuto e soprattutto tanto vetro. Il percorso espositivo si articola sostanzialmente in due sezioni. La sezione nella dependance, che assume un vero e proprio carattere di mostra con dipinti appesi alle pareti ed oggetti su basi. Ed ho aggiunto anche il fatidico comò. La sezione nella Casina, consistente quasi esclusivamente in sculture, è stata studiata non solo per non disturbare lo spazio ma in modo da integrarsi. Se non fosse per la didascalia, molte opere potrebbero essere considerate facenti parte della collezione permanente. Del resto il tutto è in sintonia con l’antico proprietario, il principe Giovanni Torlonia, che si circondava di oggetti simbolici e di civette.

Perché è particolarmente legata a questi animali?

Tutto ha inizio nei primi anni ‘80 quando mia madre mi regalò una civettina di cera e porgendomela mi disse: Ti somiglia. L’accostamento mi piacque perché il mio pensiero era corso subito ad Atena – Minerva, la mia dea preferita, la quale aveva scelto proprio una civetta come suo animale, perché simbolo di preveggenza. Cominciai così a raccogliere civette.

Le civette sono creature della notte, come viene svelato il loro mistero attraverso l’esposizione artistica?

Gli artisti non finiscono mai di stupirmi. Intanto molti hanno enfatizzato gli occhi della civetta, per quella loro capacità di vedere nel buio e quindi di vedere le cose nascoste, in senso fisico ma anche metafisico. Molti quindi hanno fissato la loro attenzione sullo sguardo. Ma poi chi le ha fatte “cattive”, chi le ha legate a Minerva, chi ne offre una interpretazione “civettuola”, chi ha giocato sul termine civetta che indica anche donna che con le sue arti vuole irretire. Chi ha fatto accostamenti alla Lilith. C’è anche Bettina Scholl Sabbatini, una celebre scultrice Lussemburghese, che, focalizzando l’interesse sul fatto che la civetta vede benissimo, le ha trasformato il piumaggio in tanti flaconcini di gocce medicinali per gli occhi, facendola diventare una “Farmacia notturna”.

Il messaggio che vuole trasmettere l’esposizione?

Il messaggio è innanzi tutto che gli animali sono tutti belli e che l’uomo dovrebbe non solo rispettarli di più, ma trarre da loro ammonimento. Non sarebbe forse una gran bella cosa se gli uomini potessero “vedere” nel “buio”? Gli imbroglioni, quelli che hanno pensieri cattivi, i disonesti verrebbero sicuramente allontanati.

Come si colloca questo messaggio nella dimensione tra mitologia ed esoterismo?

In mostra abbiamo sia la dimensione mitica legata ad Athena Minerva sia quella esoterica legata alla Lilith, sia quella scherzosa sia quella naturalistica, come ad esempio Walter Kratner, artista austriaco, ed Ezio Flammia, maestro della cartapesta, che hanno sottolineato come la civetta entri nel ciclo naturale perché si ciba di topi. Ognuno ha la sua visione della civetta, e questo rende la mostra molto varia e ricca di sorprese.

In alcune culture la civetta e simbolo di saggezza, in altre ha un’accezione negativa ed è finanche considerato simbolo di oscurità e di malasorte, soprattutto nel periodo Medievale in cui era associata alla stregoneria. Come sono porte ai visitatori le varie interpretazioni simboliche di questo volatile notturno all’interno dell’esposizione?  

Gli artisti che hanno aderito al progetto hanno tutti offerto una visione positiva della civetta. Anche le citazioni specifiche mitologiche o esoteriche sono positive. Anche la interpretazione della Lilith offerta dagli abiti disegnati e realizzati da due allievi dell’Accademia d’Alta Moda Koefia, è sensuale, misteriosa e notturna ma non certo malefica.

La sua personale visione simbolica della civetta?

Io ho sempre concepito la civetta positivamente. Vengo da studi classici e per me è legata ad Athena, cioè alla sapienza, alla saggezza, al lavoro domestico, alla guerra di difesa, insomma a tutti valori in cui credo. Io ho una visione estetica molto vicina a quella degli antichi, la visione del “bello e buono”, e ogni volta che mi è possibile cerco di far andare d’accordo etica ed estetica.

Vi saranno altre edizioni dell’esposizione o progetti futuri legati ad essa?

Stiamo valutando alcune proposte.

Photo Credits: Press Office Mostra “Tre Civette sul Comò”

 

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