Chiusa a Roma l’inchiesta bis sul ragazzo romano trentenne che nel 2009 morì dopo essere stato arrestato dai carabinieri. Ora tre militari dovranno rispondere di omicidio preterintenzionale per il violento pestaggio che costò a Cucchi la rottura di alcune vertebre e condizioni che ne avrebbero poi determinato la morte
Svolta a 8 anni dalla morte di Stefano Cucchi, deceduto in condizioni mai chiarite in un letto del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini di Roma il 22 ottobre 2009. Il procuratore capo della capitale Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò hanno chiuso la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel 2014) sui responsabili del pestaggio giovane romano.
LE NUOVE ACCUSE, PIU’ GRAVI
Con l’atto di conclusione delle indagini, secondo quanto scrivono Carlo Bonini e Giuseppe Scarpa su Repubblica.it, i pm contestano a tre dei carabinieri che arrestarono Cucchi nel parco degli acquedotti di Roma – Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco – il reato di omicidio preterintenzionale. Con loro, accusati di calunnia, sempre secondo Repubblica.it, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Per Mandolini e Tedesco, infine, anche il reato di falso verbale di arresto.
CAMBIO DI IMPUTAZIONE
C’è quindi un cambio di imputazione – i carabinieri cui viene ora contestato l’omicidio, ricordano Carlo Bonini e Giuseppe Scarpa, erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, così come Mandolini e Nicolardi di una falsa testimonianza che ora diventa, appunto, calunnia – che aggrava la posizione degli indagati e soprattutto fuga il rischio incombente della prescrizione.
SCHIAFFI, PUGNI E CALCI
Secondo le accuse, Stefano Cucchi fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con “schiaffi, pugni e calci“. Lo scrivono il procuratore della repubblica Giuseppe Pignatone ed il sostituto Giovanni Musarò nell’avviso di chiusura indagine. Le botte, per l’accusa, provocarono “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale” che “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte“.
FINORA ASSOLUZIONI
Quella di Stefano Cucchi (e in Italia ci sono diversi altri casi simili) è a oggi una morte senza responsabili, dopo tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre ad una pronuncia della Cassazione. Tutto ha finora portato ad assoluzioni: definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello quelle dei sanitari del Pertini.
LA REAZIONE DI ILARIA CUCCHI
Adesso invece, dopo l’inchiesta bis e i suoi esiti, ci sono i presupposti per la celebrazione di un nuovo processo. E per ricostruire cosa davvero è successo la notte del 15 ottobre del 2009 – Stefano fu pestato nei locali della caserma Casilina, dove era stato portato per essere fotosegnalato – per proseguire con lo snodo chiave della vicenda sotto il profilo giuridico. “Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d’ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio“. Così Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, commenta la notizia della chiusura dell’inchiesta bis. “Ricordate la foto del mio pianto il giorno della lettura della sentenza di primo grado? – ha aggiunto -. Ci gettiamo alle spalle sette anni durissimi, di dolore, di sacrifici, di tante lacrime amare. Ma valeva la pena continuare a crederci”.
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