Secondo il lavoro compiuto da una società investigativa di Milano le proprietà biologiche trovate sul luogo del delitto apparterrebbero a un giovane del Pavese.
Nuovi indizi emergono sull’omicidio di Chiara Poggi grazie al lavoro svolto da un genetista e da una società di investigazione di Milano. I risultati ottenuti da questa ricerca hanno spinto i famigliari di Alberto Stasi, condannato per l’omicidio della ragazza, uccisa nella sua casa di Garlasco (Pavia) il 13 agosto 2007, a chiedere la riapertura del processo. L’indagine svolta si basa sulle tracce di dna rivenute sotto le unghie della vittima, che non appartengono all’ex fidanzato, attualmente in carcere, ma a un giovane, amico di Chiara, che sarebbe già stato identificato.
I legali che difendono Stasi, guidati dal professor Angelo Giarda, avevano preso in considerazione l’ipotesi di ricorrere alla Corte Europea, poiché affermano che dalle carte non emergerebbe nessuna prova che conduca in qualche modo al loro assistito. Adesso valuteranno le possibilità a loro disposizione e decideranno se depositare il ricorso a Strasburgo. Il 12 dicembre 2015 la Cassazione aveva confermato nei confronti di Stasi la condanna a 16 anni per omicidio, ponendo fine ad un processo che lo aveva assolto ben due volte. Il percorso giudiziario è stato molto travagliato, con perizie e controperizie, e un’inchiesta caratterizzata da buchi e omissioni.
Lo scorso settembre, invece, era stato condannato a due anni e mezzo di carcere Francesco Marchetto, un ex maresciallo di Garlasco ora in pensione, ritenuto colpevole di falsa testimonianza. Marchetto avrebbe depistato le indagini, mentendo sulla questione della bicicletta nera della famiglia Stasi, particolare determinante per lo svolgimento delle ricerche. La vicenda giudiziaria, partita il 13 agosto 2007, quando Stasi chiamò i soccorsi da casa Poggi, è durata complessivamente otto anni e si è chiusa con il pronunciamento della Corte di Cassazione, che lo scorso anno ha condannato l’ex studente della Bocconi a 16 anni di carcere.
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