Da Firenze a Roma e dalla Leopolda ai Palazzi del potere. Rapidissima ascesa e repentina caduta referendaria di Maria Elena, la ministra più corteggiata d’Italia.
È arrivata al potere con l’inattesa rapidità di una folgore accecante. Nel 2010, appena 6 anni fa, Maria Elena Boschi non era più che la bella compagna di partito del sindaco di Firenze, e aspirante premier, Matteo Renzi. Alla primissima Leopolda Maria Elena salì sul palco, in splendida forma, con calzature leopardate. Aveva 29 anni. Fece sognare i renziani e suscitò l’invidia, ma anche l’ammirazione, degli avversari. Si capì subito che tipino era. Tosta. Intelligentissima. Brava e determinata. Insomma, un osso duro. Si meritò – lei non ce ne voglia – l’appellativo di Giaguara. Dopo quattro anni, scalzato via il governo del “lord inglese” Enrico Letta, la Boschi fu fatta ministro, portata in palmo di mano dal nuovo Re rampantissimo, Matteo Renzi. Il quale le assegnò le Riforme costituzionali. Roba seria che mica le politiche sociali. Una giovane avvocatessa aretina di belle speranze aveva salito a grandi balzi i principali gradini della politica: da Firenze a Roma. Per un viaggio di sola andata.
E invece no. In questa fine 2016, gelida e triste per Re Matteo come la rotta di Caporetto per i soldati italiani nel 1917, il ministro Boschi ha visto bocciato al referendum da una valanga di No il ddl di riforma del bicameralismo paritario che porta il suo nome. E ha pianto calde lacrime. La Storia ha detto stop. E Renzi pure. Nella notte elettorale, con la puntualità di Cenerentola, poco dopo le 24 il premier ha annunciato le sue dimissioni e la fine del suo governo. E Maria Elena, la madrina della Riforma? Per lei neppure una parola di ringraziamento. Lodi sì. Ma alla first lady Agnese e ai loro figli. Come a marcare i confini della famiglia. Quella più tradizionale possibile. Inutile sottolineare che prima a Firenze, poi a Roma e quindi ovunque esiste da anni un gossip tanto indistruttibile quanto mai confermato né smentito sul fatto che fra il premier e la ministra vi sia stato, specie in passato, qualcosa di più della semplice comune militanza di partito. Fermiamoci qui.
Torniamo invece a lei, Maria Elena (in questa foto sopra, tratta dal suo account Twitter, con alcuni militanti Pd). Appena due anni fa, negli indici di gradimento, era il ministro più popolare del Paese: madrina di ogni grande evento politico e perciò riverita e temuta, inarrivabile, corteggiata. Non era più la Giaguara. Ma la Madonna, con riferimento a una fotografia di lei adolescente, molto tenera, in cui recitava in un presepe vivente nei panni di Maria. Per due anni ha personificato l’immagine del Governo Renzi: era sempre in trincea mediatica. In prima fila. Col suo abito blu elettrico di quando giurò nelle mani di Napolitano, e con molte altre mise scintillanti. Ultima delle quali – un abito di seta con spighe turchesi – l’ha sfoggiata al Teatro San Carlo di Napoli nel fine settimana precedente il d-day del referendum. Sarà l’erede di Renzi a Palazzo Chigi, fu il coro di molti.
L’apparizione di Madonna Boschi al San Carlo è stata invece un po’ come il canto del cigno. Il referendum è andato nel peggiore dei modi possibili per lei. Il suo capo Matteo, sul quale sempre si è detto che lei abbia avuto a un certo punto molta influenza, la ignora. Anche e soprattutto dopo la vicenda di Banca Etruria, in cui è rimasto coinvolto il papà di Maria Elena. E già da mesi, quando il gioco della campagna referendaria si è fatto duro, è stato Renzi a prendere in mano le redini della corsa verso il voto. Con lei messa da parte poiché considerata, così si mormora a Palazzo Chigi, inadatta alla comunicazione sulla battaglia più importante. Ma dismessi gli abiti da Madonna, Maria Elena Boschi tornerà giaguara lottatrice. C’è da scommetterci. Quel tipo tosto non si arrende di certo adesso. Buona fortuna, signora ministro.
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