Il drammatico racconto di una baraccopoli in Puglia, arsa dal sole dove la legge non esiste e i migranti distruggono gli ultimi frammenti di cristianità.
“L’ultima messa l’hanno celebrata a Pasqua. La penultima non se la ricordano nemmeno. Nella torrida pianura ai piedi del Gargano, a 40 chilometri dalla tomba di San Padre Pio, c’è una bidonville di oltre duemila abitanti dove trecento cristiani vivono segregati”, inizia così il drammatico racconto che Fabrizio Gatti ha fatto per l’Espresso sulle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere a Rignano Garganico. Trecento cattolici africani vivono ghettizzati dalla maggioranza mussulmana vicino Foggia, immersi nella paura di essere attaccati: «Abbiamo paura, sì. La domenica preghiamo tra di noi senza farci vedere fuori», come già accaduto in passato.
Appena le frontiere si chiudono la baraccopoli si riempie: dei 170 mila profughi sbarcati in Italia nel 2014, centomila hanno ripreso il viaggio, diretti a Nord. La stragrande maggioranza è costretta a scegliere l‘Italia, dato che l’Austria prima, poi la Francia e la Svizzera non li lasciano più passare. Nel 2015 sui 29.698 stranieri riconosciuti come rifugiati e transitati nei progetti Sprar, il sistema di protezione italiano, soltanto 1.972 sono usciti dal percorso con un contratto di lavoro. E il 32 % dei progetti non ha portato a nessun contratto di lavoro (dati Atlante Sprar).
La bidonvilla di Rignano Garganico si popola: aumenta di dieci abitanti ogni ventiquattro ore. Hanno già superato il tetto di 2000 persone e con la raccolta dei pomodori si avviano verso quota 3000. Un bracciante nigeriano racconta: «L’hanno benedetta due volte. L’abbiamo fatta con i resti della baracca della fede che ogni domenica ospitava la messa. La baracca l’hanno bruciata una notte di due anni fa. Lei per fortuna non c’era. Poi qualcuno ci ha fatto capire che se non volevamo altri incendi non dovevamo pregare davanti ai musulmani. Anzi non dovevamo proprio farci vedere. Noi cristiani siamo una minoranza. Siamo del Togo, del Ghana, noi nigeriani. Trecento contro quasi duemila, troppo pochi. Così per paura di altri incendi abbiamo dovuto rinunciare alla messa. Solo a Pasqua abbiamo chiesto che venisse un prete. Almeno a Pasqua. Per il resto, preghiamo di nascosto. Loro hanno tre moschee qui. Ma nessuna baracca può essere usata come chiesa». Una tragedia nascosta, sileziosa, sola; una storia che nessuno racconta perché fa paura, ha il sapore del razzismo e della discriminazione: è un racconto, questo, tutto italiano.
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