Il capomafia si è spento per un tumore alla vescica nel carcere di San Paolo dove era detenuto al 41 bis. Il boss è riuscito a salutare la moglie e i figli
Alla fine si è spento nel carcere di San Paolo, Bernardo Provenzano; dopo aver salutato moglie e figli, se n’è andato, lasciando solo una moltitudine di pagine nere nella storia del nostro paese. 83 anni, malato da tempo di tumore alla vescica, indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato dopo una latitanza di 43 anni l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone, a poca distanza dall’abitazione dei suoi amati familiari. Insieme al suo compaesano Totò Riina condusse l’assalto dei corleonesi a Cosa nostra, contribuendo a realizzare la dittatura che segnò la svolta stragista alla mafia siciliana. Un uomo rivoluzionario e sanguinario che ha guidato la mafia per molti anni prima di essere catturato.
Da più di un anno diverse perizie lo avevano indicato come quasi in stato vegetativo, ma nonostante questo con il parere favorevole di diverse procure e anche della Direzione Nazionale antimafia, Bernardo Provenzano, boss di Cosa nostra, era rimasto recluso al regime duro del 41 bis, dove era rinchiuso da due anni. L’ultima proroga del 41 bis era stata firmata dal ministro di grazia e giustizia Orlando ad aprile scorso quando l’uomo era già malato. Una sola concessione gli è stata fatta: quella di vedere i suoi cari prima di spegnersi.
Per un decennio, fino al momento della cattura, il numero uno di Cosa Nostra ha guidato l’organizzazione da vero «padrino». Grazie ai i suoi pizzini impartiva ordini e dispensava consigli, discuteva di appalti e omicidi, indicazioni di voto alle elezioni e spartizioni dei territori tra boss. Alcuni hanno sostenuto che persino Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante ancora in circolazione, gli chiedeva istruzioni su come muoversi. Tutti dipendevano da lui, che alla fine si è spento.
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