A Roma si scatena un incendio. I cittadini si fermano e chiamano i pompieri che li tengono in attesa e poi arrivano con mezz’ora di ritardo.
È da poco passata l’una e venti quando a Roma, mentre nel quartiere Nuovo Salario, scoppia un incendio. Sembrerebbe che un gruppo di rom abbia dato fuoco ad un materasso che si trovava accanto ai cassonetti, appena sotto un gruppo di alberi. Le motivazioni sono ignote. I cittadini iniziano a fermarsi in gruppo per vedere se qualcuno ha bisogno d’aiuto, per dare una mano. Il senso civico sembra molto forte. L’umanità è intensa e si respira nell’aria.
Componiamo il numero di emergenza e dopo circa 5 minuti di attesa (si, di attesa) veniamo messi in contatto con i pompieri che ci chiedono le prime generalità. Sbrigata l’immancabile burocrazia ci chiedono cosa accada (meno male che non avevamo i ladri dentro casa) e ci promettono di raggiungerci al più presto. L’incendio cresce e divampa fino ad arrivare pericolosamente a sfiorare gli alberi. La gente intorno a noi si moltiplica ma dei pompieri non c’è traccia. Dopo venticinque minuti di attesa i cittadini sono riusciti a contenere il fuoco e da lontano, nella notte, si ode il rumore di una sirena. Sono arrivati i pompieri. Sbrigano le ultime “formalità” e poi riprendono la via. Non troppo velocemente.
Una catena di cittadini che si occupa di un incendio e il disinteresse generale dei pompieri, più preoccupati di sbrigare le formalità che di correre sul luogo del misfatto, mostrano la vera natura di una città che ha ancora evidenti di sicurezza. L’indifferenza delle istituzioni pone dei gravi interrogativi sulla fiducia che l’uomo comune dovrebbe porsi. Se l’inizio è quello di doversi proteggere da soli, cosa accadrà quando la giustizia verrà meno? Possiamo, forse, occuparci anche di quella? Qual è il confine oltre il quale non è lecito spingersi?
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