Ieri sera a Porta Porta è andata in onda l’intervista di Bruno Vespa a Salvatore Riina, il figlio di Totò Riina il capo di Cosa Nostra.
Le polemiche sono nate ancora prima della trasmissione, non appena si è saputo dell’intervista al figlio di Totò Riina, Salvatore Riina. La Commissione parlamentare antimafia ha convocato il presidente Monica Maggioni e il Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto per un’audizione urgente in merito alla vicenda. Bruno Vespa, si difende dalle accuse dicendo di aver voluto intervistate Salvatore Riina per cercare di capire la mafia. Ma le proteste non si sono placate, Pierluigi Bersani ha disertato la trasmissione e i parenti di Falcone e Borsellino, uccisi per ordine dello stesso Riina nella strage di Capaci, sono rimasti sbalorditi e scioccati.
Totò Riina, il capo dei capi, u curtu, la belva. Così veniva chiamato e viene ricordato come un dei più feroci boss mafiosi della storia di Cosa Nostra. Troppo lunga è la lista delle condanne per omicidio a cui è stato condannato, come esempio basti pensare che nel 1997 viene accusato d’essere stato il mandante della strage di Capaci dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. L’anno dopo venne condannato anche per la strage di Via D’Amelio dove perse la vita Paolo Borsellino insieme agli agenti: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vicenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Stragi che l’Italia ricorda come il periodo più nero e sanguinoso della sua storia.
Queste le parole dette dal Salvatore Riina durante l’intervista a Porta a Porta: “Sono figlio di Totò e non del capo dei capi. A casa nostra abbiamo vissuto sempre nella massima tranquillità. Non ci siamo mai chiesti perché non andavamo a scuola. Mai fatto queste domande, la nostra era una sorta di famiglia diversa. Mio padre diceva di fare il geometra, tutte le sere rientrava a casa, per me era un lavoro normale poi negli anni ho pensato qualcosa di diverso, sentivamo sempre più spesso ricorrere il nome di mio padre (Riina) non Bellomo (il nome con cui Toto’ Riina si spacciava,). Ma non abbiamo mai chiesto il perché, per un tacito accordo familiare. Eravamo dei bambini particolari, nati in modo molto differente e diverso dagli altri, una vita vissuta anche in maniera piacevole nella diversità. Amo mio padre, mia madre, la mia famiglia, al di la’ di ciò che viene contestato. C’e’ uno Stato che giudica. Io penso ai miei familiari e a determinati valori che mi hanno trasmesso. Al di la’ di quello che dicono le sentenze c’e’ una persona umana, e sta pagando. A chi tocchi dare il giudizio è solo Dio. Non chieda a me se mio padre è pentito di quello che ha fatto”
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