Al MUDEC di Milano una mostra dedicata a Joan Miró, visitabile fino all’11 settembre 2016. Un viaggio nell’universo del pittore catalano.
È stata inaugurata lo scorso 25 marzo la mostra Joan Miró. La Forza della materia, che sarà visitabile fino all’11 settembre 2016 presso il MUDEC di Milano. Il MUDEC ha visto nel suo primo anno di vita transitare oltre 400.000 persone. 270 mila sono i visitatori delle mostre che hanno decretato il successo della stagione autunno 2015: in questo trend positivo s’inserisce la mostra su Joan Miró che all’apertura ha registrato il dato positivo di oltre 50.000 prenotazioni.
L’esposizione, curata dalla Fundació Joan Miró di Barcellona, sotto la direzione di Rosa Maria Malet, in collaborazione per l’Italia con Francesco Poli, è promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, che ne è anche il produttore e si avvale del sostegno di Unipol, main sponsor. Il lavoro di Joan Miró, una delle personalità più illustri della storia dell’arte moderna, è intimamente legato al surrealismo e alle influenze che artisti e poeti di questa corrente esercitarono su di lui negli anni venti e trenta.
È attraverso di loro che Miró sperimenta l’esigenza di una fusione tra pittura e poesia, sottoponendo la sua opera a un processo di semplificazione della realtà che rimanda all’arte primitiva, al tempo stesso punto di riferimento per l’impostazione di un nuovo vocabolario di simboli e strumento utile a raggiungere una nuova percezione della cultura materiale.
Joan Miró. La forza della materia pone l’attenzione su quest’ultimo aspetto, mostrando attraverso un’ampia selezione di opere realizzate tra il 1931 e il 1981, l’importanza che l’artista ha sempre conferito alla materia, non solo come strumento utile ad apprendere nuove tecniche ma anche e soprattutto come entità fine a se stessa. Attraverso la sperimentazione di materiali eterodossi e procedure innovative, l’artista mira a infrangere le regole così da potersi spingere fino alle fonti più pure dell’arte.
Le oltre 100 opere esposte in un percorso cronologico che ricostruisce l’attività dell’artista, provengono dalla Fundació Joan Miró di Barcellona, dalla collezione di famiglia dell’artista e da prestatori europei. Il percorso di visita, suddiviso in 4 sezioni, è stato studiato per accompagnare il visitatore attraverso il contesto storico dell’epoca, le diverse tecniche artistiche utilizzate dal maestro catalano e, più in generale, con una particolare attenzione alla materia e alla matericità.
Video, musica e postazioni di realtà virtuale sono stati inseriti all’interno del percorso di visita per una fruizione dell’opera di Miró più partecipativa e immersiva: i visitatori, entrando in mostra, saranno accolti dalle note di Blues for Joan Miró di Duke Ellington, un pezzo che il noto compositore di musica jazz improvvisò durante una visita alla Fondazione Maeght in occasione della quale conobbe il pittore.
Sono state inoltre allestite 7 isole multimediali con video che raccontano l’opera e la tecnica del maestro catalano a cui si affiancano postazioni per la realtà virtuale attrezzate con Gear VR di Samsung. Un viaggio dentro il sogno di Mirò per conoscere meglio l’artista e l’uomo immergendosi nella natura che gli era tanto cara e attraversando gli ambienti che sono stati testimoni dello spirito creativo e della realizzazione di alcune delle sue opere: dal pensatoio – oggi inaccessibile al pubblico – agli studi Son Boter e Sert di Palma di Maiorca per finire in un vero e proprio viaggio virtuale all’interno dell’opera Personaggio, uccello II del 1973.
Il percorso di mostra si chiude con Inafferrabile caduta, la videoinstallazione ispirata alle tecniche ai colori e ai materiali che il maestro utilizzava, in cui la materia si muove fluida. A metà degli anni venti, influenzato dalla pratica degli amici poeti che si lasciavano suggestionare da parole scelte a caso, Miró comincia a sperimentare supporti insoliti.
Queste prove lo convincono della necessità di andare oltre la pittura tradizionale, al punto che qualche anno più tardi esprime il desiderio di “assassinare la pittura”: Sono completamente disgustato dalla pittura, mi interessa solo lo spirito puro e uso gli strumenti canonici del pittore solo per essere sicuro che i miei colpi vadano a segno – dichiara nel 1931. Per raggiungere l’obiettivo lavora usando ogni tipo di superficie e di tecnica e, pur non abbandonando mai del tutto la pittura, per un certo periodo dipinge solo opere di formato molto piccolo.
Durante gli anni della guerra civile spagnola e della seconda guerra mondiale, Miró ricorre spesso al disegno come strumento per denunciare la tragedia e su un supporto tanto comune come la carta definisce il suo linguaggio di segni, senza per questo rinunciare a esplorare avidamente le possibilità offertegli dalla materia. La libertà del gesto pittorico e la materialità dell’oggetto Nel 1956 la Spagna vive ancora la pressione del dopoguerra sotto la dittatura di Franco. Miró, la cui opera gode di un prestigio internazionale sempre maggiore, si trasferisce a Palma di Maiorca, dove l’amico architetto Josep Lluís Sert ha progettato per lui uno studio.
Qui l’artista ha a disposizione uno spazio per lavorare e al tempo stesso per meditare in tranquillità. Miró continua a utilizzare il vocabolario di forme elaborato all’inizio degli anni quaranta, in cui i personaggi, le donne, gli uccelli e le costellazioni dominano la composizione e danno il titolo all’opera; adesso però queste forme sono diventate più grandi e individualizzate. Al tempo stesso, il desiderio di un’espressione artistica completamente anonima si traduce in gesto pittorico più libero. Alla fine degli anni sessanta, il gusto per la cultura surrealista dell’oggetto, insieme al costante interesse per la materia, lo portano a dedicarsi con intensità alla scultura in bronzo. Utilizzando la tecnica della fusione a cera persa crea nuove forme a partire dall’assemblaggio di oggetti diversi tratti dall’ambiente popolare.
Negli anni settanta, Miró raramente amplia il proprio vocabolario di segni per rappresentare immagini reali. Continua a creare opere su tela altamente poetiche, quelle che esigono una maggiore attenzione da parte del pubblico, senza per questo smettere di interrogarsi sul significato ultimo della pittura. Nel 1974, per celebrare l’ottantesimo compleanno dell’artista il Grand Palais di Parigi gli dedica un’importante retrospettiva. Benché anziano, Miró coglie l’occasione della mostra per presentare un numero cospicuo di opere nuove che, oltre a sottolineare la sua attenzione ai cambiamenti sociali, mettono in discussione l’essenza stessa della pittura.
Nel tentativo di eliminare ogni traccia d’illusione, la sottopone a pratiche poco ortodosse, brucia, lacera e perfora la tela e impiega i supporti più insoliti: assi di legno, carta vetrata, dipinti d’arte pompier, etc., distruggendo e creando al tempo stesso. Dissacrando la pittura non intende solo provocare l’osservatore ma anche mettere in dubbio il valore economico dell’opera d’arte.
L’importanza attribuita da Miró alla materia come parte integrante e spesso decisiva della sua pittura, lo porta a interessarsi anche ad altre tecniche, quali la scultura, l’arazzo e l’incisione, e a trovare in ciascuna un terreno fertile per la sperimentazione. Nel campo dell’incisione, inizialmente cerca di approfondire le possibilità offerte dall’acquaforte e dall’acquatinta per poi introdurre, alla fine degli anni sessanta, il carborundum, un procedimento grazie al quale riesce ad arricchire la materia e potenziare il tratto.
Egli sfida tutti i vincoli della tecnica per evitare che siano d’ostacolo alla libertà d’espressione raggiunta in pittura. Dal punto di vista sociale e umano, l’opera grafica di Miró è in linea con alcuni degli obiettivi perseguiti nell’età matura. Con il loro carattere di opera multipla, infatti, litografie e incisioni raggiungono una diffusione più ampia dei dipinti. Inoltre, lavorando a stretto contatto con gli artigiani l’artista rinuncia alla propria individualità, come avevano fatto i maestri dell’antichità da lui sempre ammirati.
Photo Credits: Ufficio Stampa MUDEC
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