La corte suprema dell’Ajia ha condannato a 40 di reclusione Radovan Karadzic ex leader politico dei serbo-bosniaci, colpevole secondo il Tribunale penale internazionale per l’Ex Jugoslavia (Tpiy) di genocidio e di crimini contro l’umanità durante la guerra nei Balcani dal 1992 al 1995.
“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.” Così scrive Hannah Arendt nel suo libro, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, raccolta di testimonianze sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, catturato dagli israeliani nel 1960 per essere processato e poi condannato a morte per genocidio. Si potrebbe dire lo stesso di Radovan Karadzic un altro mostro della storia, ieri processato e condannato per crimini contro l’umanità.
Il volto serio e i capelli bianchi potrebbero farlo sembrare un uomo qualunque, ma Karadzic è stato uno dei più feroci uomini dell’ultimo secolo. Protagonista di omicidi efferati durante la guerra serbo-bosniaca iniziata nel 1992 e terminata del 1995. Eppure dietro il male si nasconde la banalità e anche la normalità di un uomo laureato in psichiatria, che ha studiato in America, dall’animo sensibile e poetico. Almeno questo era Karadzic prima di diventare il mostro di Sarajevo.
Durante l’assedio della città era il terrore degli abitanti e non solo, anche dei giornalisti che si trovavano nell’Holiday Hill, l’albergo nel quale Karadzic e i suoi entravano seminando il panico e sparando sugli ospiti. Dopo le carneficine si intratteneva parlando con i superstiti delle sue doti poetiche come nulla fosse. (LEGGI QUI LA TESTIMONIANZA DI ALBERTO NEGRI). Un pazzo? Troppo facile definirlo così. Prima di tutto Radovan Karadzic è stato nemico numero uno di una città: Sarajevo. Odiava la sua multiforme cultura, odiava i musulmani di cui l’ 11 luglio del 1995 fece strage nel massacro di Srebrenica, dove vennero barbaramente uccisi 8.372 persone.
Photo Credits: Twitter