Ogni anno si registrano moltissimi casi di violenza domestica, e non solo, verso le donne: alcune denunciano tutto, altre tacciono per tanto tempo. Ma come mai alcune donne non si ribellano a compagni, mariti e fidanzati, capaci di alzare le mani su di loro? Secondo Paola Vinciguerra, psicoterapeuta, presidente Eurodap, Associazione Europea Disturbi da attacchi di Panico e Direttore della Clinica dello Stress a Roma, i motivi sarebbero molteplici. Molto spesso gli aggressori riescono a proiettare i motivi delle violenze sulla donna che ne è vittima: “Se tu fossi più complice, se tu non fossi sempre arrabbiata, se tu mi lasciassi in pace quando sono nervoso. Queste sono alcune delle frasi collegate agli atti di violenza“, spiega Paola Vinciguerra.
La donna si sente così responsabile delle azioni altrui: così facendo fa fronte a tutte le richieste dell’uomo per non scatenare i suoi comportamenti violenti. “L’obiettivo è quello di dimostrare al compagno di essere adeguata e giusta. Per poter andar bene si deve essere come l’altro ci vuole – aggiunge la Vinciguerra -, altrimenti diventeremo responsabili delle sue reazioni. Ciò scatena nella donna un senso d’inadeguatezza e le fa credere di essere responsabile, e quindi colpevole, di portare la relazione alla distruzione“. Immediatamente le donne vittime di violenza puntano il riflettore verso se stesse, attestandosi come colpevoli di quel dramma.
Subentra poi un vero e proprio timore dell’abbandono: l’idea di poter affrontare la vita da soli può spaventare più di avere una relazione disfunzionale che, nonostante i mille problemi, è comunque in grado di riparare alla sensazione del vuoto: “Il vuoto – dice la Vinciguerra – è il problema che più affligge tutte le persone che per la loro storia hanno avuto difficoltà a strutturare un saldo rapporto con il sè. La sicurezza in se stessi è fondamentale per affrontare l’ignoto, le difficoltà, le paure. Se questo manca, la nostra scelta non potrà essere certo di avventurarci, senza armi, nei meandri della vita: dobbiamo trovare un punto di riferimento e ad ogni costo rimanerci attaccati per non affrontare quella sensazione di perdersi nel vuoto. Quindi, si pensa, meglio un uomo violento che la solitudine“.
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