Il Governo e l’Inps parlano due lingue differenti ed il premier Matteo Renzi non intende quindi dar seguito al piano sulle pensioni immaginato dal presidente Tito Boeri. Le proposte dell’economista hanno scatenato polemiche e malumori, soprattutto per la paventata introduzione di un reddito minimo garantito per le famiglie con almeno un componente ultra55enne. Il piano, quadriennale, comporterebbe investimenti da 1,4 miliardi già nel 2016, garantendo a questi nuclei familiari 500 € in più al mese.
Per finanziarlo sarebbero però necessari il ricalcolo con il sistema contributivo degli assegni più alti (sopra i 5.000 € lordi) ed il congelamento di quelli medio-alti (tra i 3.500 ed i 5.000). L’Inps ipotizza anche il taglio delle prestazioni assistenziali agli over 65 che percepiscono i redditi più elevati, per smentire l’assunto secondo il quale il Fisco finisce paradossalmente per favorire i nuclei più agiati, ovvero le 230.000 famiglie beneficiarie di una “pensione d’oro”. Ma il Governo ha tirato il freno a mano: la manovra non può essere attuata perché reputa insostenibili i costi, che lieviterebbero a 4 miliardi soltanto per il 2019.
Il ministro Giuliano Poletti ha rinviato al 2016 ogni discorso sulla flessibilità, mettendo a tacere i distinguo di Nuovo Centro Destra e Forza Italia. A Palazzo Chigi non lo ammette nessuno ma i mal di pancia sono stati originati anche dal fatto che Boeri sembra avere recepito e rielaborato le proposte avanzate a più riprese dai grillini. Uno smacco per Renzi, già costretto a rispondere ai pentastellati sull’ipotesi di immediata revisione dell’Italicum. Gli annunci sul Ponte sullo Stretto e sull’abolizione della tassa sulla prima casa, che pure richiedono esborsi decisamente consistenti, sono chiare aperture al bacino di centrodestra e nel perenne clima da campagna elettorale il premier non intende sconfessarli subito.
Eppure una riforma delle pensioni sarebbe improrogabile, almeno a giudicare dai dati diffusi dal Barometro Edenred-Ipsos 2015, secondo il quale i lavoratori italiani in età pensionabile sono i più sfiduciati d’Europa (52%) ed i meno motivati dopo i francesi (55%). La situazione non migliora osservando il livello di soddisfazione dei 55-64enni: appena il 37% degli italiani si dichiara felice al lavoro, peggio solo di Polonia e Repubblica Ceca. Infine per qualità della vita sul posto di lavoro (25%) il nostro Paese è penultimo dietro la Spagna.
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