Il caso del giorno è quello che ha dilaniato l’opinione pubblica e le redazioni delle più grandi testate giornalistiche: la pubblicazione delle immagini di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni il cui corpo senza vita è stato ritrovato su una spiaggia di Bodrum, in Turchia. Veniva da Kobane, la città siriana assediata dai miliziani dello Stato islamico e il suo corpo esanime, sdraiato a testa in giù con la testa nella sabbia di fronte al mare, ha scosso le coscienze di tutta Europa. L’ultima immagine di Aylan ha inorridito e scolvolto cittadini comuni, politici e uomini delle istituzioni di tutto il mondo.
Una scelta contestata, discussa e argomentata in maniera diversa. La giustificazione a render pubblica una scena così forte va trovata, per la maggior parte dei media, nella volontà di catturare la realtà. Non sono mancate, ovviamente, le contestazioni di voyeurismo o sensazionalismo. Tutte le più grandi testate hanno, però, reputato che questa immagine potesse essere necessaria a far aprire gli occhi all’Europa, a far capire cosa stia realmente accadendo.
La foto simboleggia, senza ombra di dubbio, il disastro umanitario che stiamo vivendo e si fa espressione, nella maniera più diretta, di una umanità trascinata a riva. La sua divulgazione ha avuto l’effetto di un elettroshock sull’opinione pubblica: si è diffusa con la velocità della luce sui mezzi d’informazione online e sui social network, provocando indignazione e reazioni contrastanti. In molti reputano che al momento ogni parola scritta sui migranti stia diventando un dejavù. Ecco perché, probabilmente, la foto di un piccolo innocente senza vita potrebbe fare di più di migliaia di morti invisibili nel Mediterraneo. Questa foto dovrebbe rompere gli argini e dare ai politici coraggio e spirito di decisione. Questo doloroso evento dovrebbe dare dimostrazione del fallimento della gestione di questa crisi e funzionare come un appello ai cittadini: un appello alla comprensione, alla pietà e al non lasciare il passo alla paura.
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