Bimba di 10 anni stuprata dal patrigno: ma la legge in Paraguay le vieta di abortire. L’agghiacciante caso, che sta rimbalzando sulla stampa mondiale, rilancia il dibattito sull’aborto nel Paese sudamericano dove la legge non consente l’interruzione della gravidanza se non in caso di pericolo per la vita della madre e del bambino. La piccola – la cui identità non è stata rivelata – si trova attualmente ricoverata in un ospedale della Croce Rossa, mentre sua madre è rinchiusa in un carcere di Asuncion, accusata di aver favorito la fuga del marito.
L’uomo, infatti, è attualmente latitante. Varie associazioni locali, alle quali si è aggiunta Amnesty International, si sono mobilitate intorno al caso, denunciando una negazione dei diritti della bambina, che rischia seri problemi di salute se porta a termine la sua gravidanza. Amnesty sottolinea come nonostante l’urgenza della situazione, 10 giorni dopo la conferma della gravidanza della bambina, non sia ancora stato creato un comitato interdisciplinare e indipendente di esperti. Il comitato deve essere formato da professionisti del settore – sanitari, psicologi e assistenti sociali – per valutare la situazione della ragazza, che analizzino la sua salute fisica e psicologica.
La notizia è trapelata due settimana fa, era il 21 di aprile. La gravidanza di 21 settimane è stata scoperta presso l’ospedale pediatrico di Trinidad: la bambina era andata dai medici con la madre per i forti dolori all’addome. Le istituzioni, secondo Amnesty, non si sono adoperate come avrebbero dovuto. Sono passati infatti diversi giorni da quando sua madre ha presentato richiesta per un’interruzione della gravidanza della figlia a causa della sua giovane età e per l’alto rischio per la sua salute e la vita.
Secondo cifre ufficiali del governo paraguaiano, non si tratta di un caso isolato: l’anno scorso nel paese sono nati 680 bambini figli di madri con meno di 15 anni di età. Alla campagna lanciata da Amnesty – con l’hashtag #NinaenPeligro, bambina in pericolo – si sono aggiunte altre iniziative, come quella del Centro di Documentazione e Studi (Cde), che non solo chiede la depenalizzazione dell’aborto in caso di gravidanza da stupro o incesto, ma denuncia anche il modo in cui le autorità hanno affrontato il caso specifico.
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