Israele torna al voto dopo appena due anni dalle ultime elezioni politiche. Oggi quasi sei milioni di elettori, dopo lo scioglimento a dicembre della coalizione al governo, sono chiamati a votare per la riconferma di Nethanyau o per un cambiamento politico.
La paralisi politica che si è venuta a creare in questi ultimi mesi risente della drastica rottura fra Netanyahu e i suoi ministri Lapid e Livni. Una recente proposta di legge, approdata su esplicita richiesta del Premier, mirava a definire Israele come “Stato-nazione ebraico”. Secondo Lapid e Livni questa misura oltre ad essere anti democratica, andava ad intaccare i diritti delle minoranze (che rappresentano circa il 20% della popolazione), nello specifico di quella araba. La proposta, però, rappresentava da anni per Netanyahu un punto imprescindibile nella gestione dei rapporti fra Israele, la minoranza araba presente all’interno del Paese e le autorità palestinesi. Nessuna mediazione è stata possibile, e così il 4 dicembre scorso Netanyahu ha rimosso gli oppositori dai loro incarichi ministeriali. Il gesto ha avuto come immediata conseguenza le dimissioni dal Governo di tutti gli altri esponenti della maggioranza, rendendo così di fatto obbligatorio un ritorno alle urne.
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Benjamin Netanyahu è stato per tre volte Primo Ministro, e ha governato per gli ultimi sei anni, un record per le tradizioni politiche israeliane. Dai sondaggi la sua figura risulta essere in calo di consensi a causa del rallentamento economico che ha subito la società israeliana. Non ha aiutato la campagna elettorale scollata dalle questioni oggi al centro dell’attualità israeliana – cibo, istruzione e sanità – ed incentrata maggiormente sulla politica estera contro l’Iran, e sulla sicurezza.
Contro il Premier uscente la coalizione di centro sinistra guidata dal leader del Partito laburista Isaac Herzog e dall’ex ministro della giustizia rimosso Tzipi Livni. L’opposizione accusa Nethanyau di aver mancato gli obiettivi economici e di aver contribuito cosi all’aumento del costo della vita, incluso lo scoppio della bolla immobiliare. Sullo sfondo anche la relazione con il popolo palestinese. Herzog e Livni hanno annunciato di voler riprendere i negoziati e rilanciare il Processo di pace in Medio Oriente.
Nel tentativo di recuperare credito e pienamente convinto dei risultati che otterrà, il Premier uscente si è rivolto al Congresso statunitense avvisandolo dei pericoli che si nascondono dietro un accordo con l’Iran sul nucleare. Dopo aver votato, questa mattina a Gerusalemme, ha promesso: “Finché ci sarò io, non ci sarà nessuno stato Palestinese“.
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